L'apparecchio televisivo è deceduto. Dopo circa 20 anni di onorato servizio mi ha mollato di botto. Immediata sostizione effettuata in centro commerciale. Circa 70 schermi di diverse dimensioni rinviavano la stessa partita di qualcuno contro qualcun altro. C'è una faccia sofferente moltiplicata per settanta. Sudata, con una smorfia di dolore, mangia erba di un campo di calcio da qualche parte nel mondo. Acquisto velocemente qualcosa di digitale che nulla ha a che fare con il vecchio tubo catodico che ora mi invade il terrazzo. E' scoppiata una calura estiva inattesa. Vagheggio l'inverno.
Nello stesso centro d'acquisto mi nutro di cose fritte da un rivenditore esotico. Ho nausea. Fumo una sigaretta fuori dall'area pressurizzata. Incontro, anche lei fumante, una commessa di altro negozio biologico; è preoccupata per l'estinzione di un mutuo non voluto. Si è lasciata con il ragazzo. Ormai li lega solo quella pendenza economica. Torno dentro, prendo il mio nuovo apparecchio televisivo e torno a casa.
Mi aspetta il sensei per nuovi allenamenti. Mi sento come al primo giorno di scuola. Ed è un bene che chi in qualche modo insegna, si metta a sua volta in condizioni di discente. Meglio di discepolo, con umiltà e cura di ciò che si va ad apprendere. Impegnativa l'umiltà. Occorre sempre sperimentare i diversi punti di vista. E occorre crescere. Sempre.
Ritrovo a fatica cintura e un pezzo del karategi. Fortuna vuole che siano i pantaloni. Mi avvio al dojo. Siamo in quattro. Incomincio a impegnare il corpo. Faccio fatica. Kata, forme, uso delle armi. Il sensei mi prova gli addominali e le gambe. Rifaccio fatica. Mi fornisce di nunciaku. Chi è stato bambino negli anni '60 si ricorda le clic-clac. Oggetto infernale con cui ci martoriavamo inutilmente polsi e avambracci. Lividi a piovere. Uguale. Chiedo di fermarmi. Il sensei acconsente. Mi rendo conto di essere la pubblicità al contrario di me stesso.
E' il momento dei bō. Vorrei tornare sul tatami con quell'arma che mi ha sempre affascinato. Il bastone dei contadini di Okinawa trasformato in arma mortale. In spregio all'ordinanza imperiale che voleva l'uso delle armi ad esclusivo uso dell'esercito dominatore. I contadini hanno iniziato a difendersi e a combattere con gli attrezzi del loro lavoro. Il bō era il bastone con cui i contadini trasportavano i secchi d'acqua. I movimenti prodotti dall'utilizzo del bō nelle arti marziali compongono spesso cerchi, semicerchi e sfere, difendendo l'utilizzatore dagli avversari da ogni lato, tenendoli lontani e permettendo di attaccarli senza che possano avvicinarsi. Il sensei mi nega il bō. Dice che nelle condizioni in cui sono potrei fare molto male a qualcuno. Anche a me stesso, visto che sono visibilmente fuori allenamento. Mi chiede di continuare con il nunchaku. E' un'arma tradizionale, diffusa in alcuni paesi dell'Asia Orientale, costituita da due corti bastoni uniti mediante una breve catena o corda. Viene anche utilizzata in diverse arti marziali come il Karate-do Shotokan.
La storia del nunchaku è molto incerta e molti dei racconti che lo riguardano non hanno trovato conferme ufficiali. Si dice che nel VII secolo la dinastia cinese Zui abbia inventato un'arma partendo dall'idea del morso dei cavalli. Quest'arma, chiamata in giapponese nunchakun, era formata da tre bastoni uniti insieme mediante una catena. Nel corso dei secoli l'arma venne modificata in un bastone snodato a due pezzi chiamato shuāng jié gùn, uno strumento agricolo usato per trebbiare grano e riso. Sicchè lo strumento è diventato allo stesso tempo un'arma non convenzionale semplice e di facile reperibilità, usata da contadini per autodifesa.
Il corpo frana sul tatami. Non reggo lo sforzo, anche se ormai la lezione è alla fine. Il sensei mi guida in un ultimo bunkai. I bunkai sono normalmente eseguiti nel dojo con uno o più avversari che danno una dimostrazione del significato delle tecniche eseguite in un kata. Oppure si mette in pratica un attacco predefinito cui occorre rispondere con un determinato kata. In questo modo l'allievo comprende i vari movimenti di cui è composto il kata e migliora la propria tecnica. Sicchè si impara a valutare i tempi, aggiustare le distanze e adattare la tecnica alle dimensioni dell'avversario.
Torno ad imparare a uccidere. Non l'avevo completamente dimenticato e mi sento a casa.
"Sto trafficando, beato me, sotto un fruscio di taffetà e mi domando in fondo se mentre lei splende sul sofà d´inverno, d´inverno non sia anche più intelligente...".
9 giugno 2010
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