23 giugno 2010

ELENCHI DEI DISPERSI E DEI SOPRAVVISSUTI

Accogliamo le famiglie per comunicare l'esito degli scrutini. Metto il mio abito migliore e scelgo con cura la cravatta. Alcuni allievi, venuti a scuola con i genitori, stentano a riconsoscermi. Di solito, porto abiti informali. Ma l'evento esige scuola in parata e noi docenti anche. Iniziamo a ricevere alla spicciolata e a fornire motivazioni e legittimazione di giudizi. Come in gioco perverso, mi trovo ad essere solo ad annunciare le bocciature o le salvezze alle famiglie. Inizio con metodo il lavoro di ricevimento. Mi appare infinito. Mi sembra di essere un medico condotto con la sala d'attesa zeppa di pazienti. Mi raggiunge per decoro qualche collega. Poi si defila, come preso altrove.
Perviene tra gli altri, con cappellino da baseball calato sugli occhi, la madre della sciagurata che ho tentato di salvare. Sulla scheda di valutazione campeggiano le mie uniche sufficienze. Mi attacca direttamente, la percepisco alla giugulare; a dire che abbiamo fermato casualmente tre ragazze provenienti dal suo quartiere. Secondo lei, più della metà classe era da fermare. Per lei l'ingiustizia è palese. Squadra con aria sospetta il mio abito buono e dice che siamo una manica di incompetenti. I ragazzi non li aiutiamo per niente ed è evidente che abbiamo diversi problemi. Aggiunge che se sua figlia è una scema, non la manderà più a scuola. La ragazza ha 14 anni e non ha mai ripetuto una classe. E' visibilmente alterata, io non reggo un confronto così diretto e inaspettato, anche se tento risposte a tono. Le voci alte attraggono collega di scientifico che mi soccorre. E' uomo di mediazione più di me. Io esco sconvolto. Non reggo le aggressioni verbali, mi entrano dentro senza ritorno. Mi imbuco in aula vuota e fumo una sigaretta. Il cuore decelera a fatica.
Non mi raccapezzo sull'attacco personale appena subito. Sono emotivamente alterato. Dentro di me maledico la mia lungimiranza. Avevo ragione. Abbiamo agito, in qualità di collegio docenti, come la madre scellerata. Non abbiamo dato chance alla ragazza, esattamente come non ne dà sua madre. Siamo uguali. Come previsto, l'abbiamo persa per sempre.
Mi carico di colpe non mie ma che pesano comunque. Fumo un'altra sigaretta.

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