La città è un forno industriale. Non si respira. I genitori di Sveva e Luciano mi invitano in baita fuorimano. Partiamo nel secondo pomeriggio di sabato. Ci lasciamo alle spalle la metropoli e raggiungiamo in circa un'ora un piccolo addensamento montano. Già uscendo dalla città, nuvole di calore ci aspettano ai margini della montagna. Arriviamo che la pioggia scende potente, catartica. Al paese cambiamo mezzo e ci arrampichiamo su una vecchia jeep. Si prende poi uno sterrato per arrivare al luogo. Quando saremo arrivati, ci troveremo su un altipiano intorno ai 1100m di quota. Il mio amico guida sicuro, su per un'impervia carrareccia inondata da un acquazzone impietoso. La carraia larga poco più di tre metri, si arrampica a ridosso della montagna. A destra lo strapiombo, a sinistra rocce confuse in vegetazione pedemontana. Pur con le ruote motrici in assetto, il veicolo slitta, fa fatica. Sembra di stare su un cavallo al piccolo trotto nel fango. Il treno posteriore è portato via di continuo da qualche smottamento imprevisto. Ma l'animale tiene, si scompone appena. Il muro d'acqua si addensa. In macchina il vetro si appanna e si vede a fatica la strada. Tipico temporale estivo. Violento e inesorabile. I miei amici considerano l'idea di tornare in città. Suggerisco di proseguire, se possibile. Lasciamo la jepp ai piedi di altra strada, ancora più impervia e disacciottolata. In genere, tempo permettendo, si può percorrere inserendo tutte e quattro le ruote motrici. Oggi non è cosa. Ci forniamo di cerate e ci incamminiamo. Dopo circa 15 minuti di strada, con la pioggia che continua a venire forte, arriviamo. Siamo zuppi da far pietà. Faccio subito una doccia gelata, per togliere l'umidità assorbita. Non ho brividi. I bimbi si asciugano alla meno peggio. Il mio amico accende il generatore. La casa è sprovvista di allacciamenti elettrici. Però c'è tanta acqua. E' ora di cena e mangiamo avidamente piatti di cibo bollente. Improvviso, si rischiara. I bimbi a letto, i grandi a guardare le stelle. Che non ci sono. In cambio, nuvole di lucciole rischiarano un cielo ancora plumbeo per il recente uragano. Piccole lanterne cinesi a rischiarare la notte. Ne conto nove. Alle spalle una montagna dolomitica poco conosciuta; di fronte invece, nota montagna, dietro alla quale il temporale continua con lampi coreografici.

La serata è magnifica. Siamo tutti cotti. Si va in branda. Il giorno dopo, cielo spettacolo. Sole caldo e volta azzurro intenso sbavato di nuvole rade. Appena un refolo leggero che muove a tratti il paesaggio. Per sdebitarmi, mi do da fare a ridurre una vegetazione selvaggia che assedia la baita da ogni parte. In particolare, apro la strada a sempreverdi nascoste da erbe alte un metro. Faccio fatica. Fumo qualche sigaretta, seduto sopra un secchio di vernice vuoto, ribaltato. Assumo posa da All Blacks in panchina. Ma sono vestito di blu non di nero. Non danzo la
Ka Mate, non avrei energie e nemmeno saprei. Il mio amico e i bimbi vanno a valle per la spesa. Io continuo un eroico lavoro di potatura e sistemazione delle piante. Sposto terra, taglio erbe, sfrondo alberi sfacciati che riducono l'accesso alla casa. Sistemo due rovi di more. Quando tornano è mezzogiorno passato. Si mangia. Dopopranzo Sveva e Luciano mi chiedono di bagnarli con la canna da giardino. Permesso accordato. E' il finimondo. Acqua sruzzata ovunque. Si appropriano del tubo e gestiscono il gioco. Sveva istiga il fratello: "Dai, che sei fatto di acqua. Che problema hai?". Fradici tempo zero. Il gioco prosegue. Io riprendo il mio lavoro di contadino. Recupero terra, tolgo infestanti, invito i bambini a raccogliere fragole selvatiche. Crescono copiose in un'idea di giardino roccioso zeppo di felci. All'improvviso un ragno verdemela mi sale sulla mano. In un attimo lo perdo nell'erba ancora troppo densa. Era bellissimo.
*La montagna dolomitica alle spalle della baita che descrivo. E' immagine invernale, ieri la neve non c'era. L'edificio che si scorge non è la casa di cui racconto. Trattasi di rifugio su itinerario per escursionisti. La baita è situata sul versante nord, perciò è dietro le cime fotografate. Al tramonto, il quarzo della
dolomia, la pietra di cui è composta la roccia del monte, rifrange la luce del sole. Appare rosa.
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