30 luglio 2010

CHIUSURA

La scuola chiude per ferie. Laconico cartello annuncia LA SCUOLA RIAPRE 1 SETTEMBRE. Molto meglio chiusura serale per spettatori non paganti di parco zonale. E' sera, tira un bel vento. Arriva intorno alle 23 il patagonico Rodrigo. Arriva dall'Ecuador. Non per chiudere il parco. Lavora in una cooperativa che chiude i parchi cittadini la sera. Fa questo lavoro da 15 anni. Con un vecchio motociclo nero arriva intorno alle 22.45. In realtà, il parco dovrebbe chiudere alle 22. Così recita cartello di latta apposto a una delle entrate in ferro. Due cancelli permettono l'accesso al parco. Entrano anche turisti perduti in zona periferica. Hanno volti vitaminici e stanchi. Si sentono perduti, fuori dalle mete d'arte e di storia per le quali sono sbarcati in città. Uno degli accessi resta chiuso, dall'altro entra Rodrigo suonando a tutto spiano il clacson della moto. Chissà perché. Chiude alle sue spalle il primo cancello, stancamente si avvia ad aprire l'altro. Da quel largo pertugio usciranno radi visitatori notturni. Lui evidentemente sa. Riprende la moto e si appresta a fare il suo giro notturno. Sempre spernacchiando con il clacson, si avvia per viale alberato. Dieci minuti dopo torna, tipo pastore di gregge docile. Ha davanti a sè gli ultimi visitatori mossi dall'ora e dalla necessità della chiusura. Aspetta che escano e si chiude il cancello alle spalle. Io aspetto di camminare dietro a lui. Così sono davvero l'ultimo a lasciare il parco. Sensazione superba. Padrone del parco, padrone del mondo. Domani sarà vacanza anche per me. Pregusto risveglio in assenza di sveglia.

- Claude Lorrain MARINA CON ENEA A DELO (1672), National Gallery London

29 luglio 2010

DISATTENZIONI

Giro in città pressocchè deserta. Vado a scuola. Come sempre. Ai semafori, gente distratta accende sigarette e lancia cicche accese da finestrini aperti. Temporali in arrivo, ma coltre pesante su nucleo urbano. Durante il percorso incrocio tre incidenti. Con ambulanza puntuale sul posto. C'è sempre in terra qualcuno. Il breve traffico rallenta. Per guardare. Passo oltre e ostentatamente lo sguardo va avanti. Sempre. Quando capitano scene di morte sradale, non ho il coraggio di assistere. Non mi interessa guadagnarlo. Ricordi infantili assalgono la memoria. La famiglia in macchina verso terre di produzione frutticola. Era un settembre soleggiato e arioso. Una strada di monte ci portava allegramente verso cascina di rivendita diretta. All'improvviso, la catena di macchine rallenta. Ero bambino di circa otto anni. Alla mia sinistra scorre l'alveo stradale. Insanguinato. Ricordi di corpo di donna squartato da pneumatici pesanti. Mosche nere appoggiate su pezzi di carne fresca. Nessuno ha posto un plaid di fortuna o un lenzuolo provvisorio. Così. Tutto da guardare, mentre le macchine scorrevano lentissime. Masticavo adagio piccole mentine da viaggio contro la nausea. Un tipo ancora oggi in commercio. Che non posso avvicinare. Il tempo si è come fermato in un frame infinito. Pareva durato giorni. L'effetto della morte in strada risulta indelebile e scuro. Non si muove nella memoria, conquistando senza fatica un posto sicuro. Arrivo a scuola senza altri intoppi. Sono puntuale.

TEMPI SBAGLIATI

I Maya (seguiti dagli altri popoli antichi dell'America centrale, quali gli Aztechi e i Toltechi) tra il IV e il XV secolo d.C. misuravano il tempo mediante tre calendari: accanto al calendario religioso, chiamato Tzolkin, e a quello civile, chiamato Haab, utilizzavano infatti un sistema per il conteggio nel lungo periodo.

Non vengono fatti entrare, se non dopo lunghe ed estenuanti prediche direzionali. Ragazzi che addestro arrivano sempre in ritardo. O troppo in anticipo. Le lezioni cominciano in genere alle 8 in punto. C'è chi posteggia fuori dalla scuola sin dalle 7.30 o giù di lì. C'è chi arriva anche oltre le 11. Il tempo non è cosa di facile comprensione o gestione. Ognuno interpreta e vive codesta dimensione a modo proprio. Se non obbligato da vincoli spazio temporali imposti da altri. Ad esempio, gli appuntamenti di lavoro. Momenti che vengono utilizzati anche nelle dinamiche distorte di potere. Vieni alle 10. Anzi no fai alle 10.30. Oppure, al contrario, si arriva immensamente fuori orario. Così, per dire che si era altrove a fare o dire cose irrinunciabili. Come in una specie di pantomima costruita appositamente per l'occasione temporale mancata, agiamo su un palcoscenico inventato da noi. Siamo sempre protagonisti indiscussi. Non c'è mai il sostituto nel caso non si stia bene. I miei ragazzi abitano altra dimensione. Fatta di smarrimenti senza dolo, con la certezza tutta adolescenziale che qualche nido comunque li accoglierà, anche fuori dalle regole del tempo. Infatti, nella maggior parte dei casi è così, con buona pace di chi li vorrebbe tutti in fila come falange macedone. Altri invece vivono una dimensione tutta loro. Allievi molto concentrati nello studio, seppur pochi, che hanno un irrisolto rapporto con la dimensione temporale. Non sentono mai la sveglia, fanno fatiche immense per essere lì, in aula. A un'ora anche sbagliata, ma ci sono. L'essere vince il tempo comunque. Se porti la tua presenza fisica in un luogo, improvvisamente il sito diventa abitato. La stanza non è più vuota. Anche se nessuno aspetta o se ne è andato nell'attesa. Il corpo si impossessa dello spazio intorno, lo fa suo. Si domina il luogo. E il tempo non conta più.

28 luglio 2010

CADERE

I miei allievi cadono spesso. In modi impensati a tratti stravaganti e pericolosi. Dalla moto, dall'autobus che li porta a scuola, nei corridoi e dai banchi in bilico tra una sedia e l'altra. A volte, sono cadute in cui si fanno davvero male. Se durante le ore di scuola e i momenti di intervallo accade, piangono. Allora i loro occhi cambiano colore. Si fanno più scuri e acquosi per alcuni istanti. Poi passa. Spesso sotto le coccole complici di un amico. Che il giorno dopo con tutta probabilità cadrà anche lui. E il giro ricomincia. Tutti si cade. Da quando si nasce a quando ce ne andiamo per sempre, continuiamo a farlo. A volte, non ci accorgiamo, ma succede. Ci sono cadute che si vedono. Il bimbo che impara a camminare, la vecchia che non vede il marciapiede. Ma anche le cadute spettacolari degli sportivi professionisti. Ogni franata vale milioni. E poi il piede in fallo dell'escursionista, un esame fallito di un universitario annoiato e attonito. I custodi di ampie dimore raramente cadono. I padroni di quelle favolose magioni invece cadono dalle loro auto di lusso. Spesso ubriachi o fatti come narcos colombiani. Massimo rispetto per la República de Colombia e il Mar dei Caraibi che la bagna. Cade il giovane artista alla prova. Davanti a una crosta giovanile e acerba il maestro a cui chiese opinione disse: "Cosa ti posso dire, non mi viene in mente nulla". Si schiantano di continuo cinture nere a molti kyū (livelli di abilità). Accade su asiatici tatami che non attutiscono più di tanto. Si rialzano e ricominciano come se fosse sfracellato solo l'avversario. Cade la pioggia, inesorabile e fredda. Cade la neve, soffice e inaspettatamente calda. Cade la pettegola dal nido. Non sa ancora volare. Cade il pesce acchiappato all'amo fortunato di pescatore domenicale. Trova fratelli morti in un cestello verde ringhiera. A maglie rade, per farli respirare. Perché. Li raggiungerà a breve. Cade il ponte provvisorio a cui cede un pilone. Con lui cadono macchine di passaggio. Cade l'acqua dalla cascata impetuosa e possente. Miriadi di gocce cadono intorno a formare foreste sempreverdi e pluviali. Nelle abitazioni, cade l'uovo nel piatto, i bicchieri vanno in frantumi da mani tremanti e indecise. Le case in ogni parte del mondo sono piene di vetri rotti. Le schegge si ritrovano anche dopo anni sotto credenze antiche. Cadono foglie in stagione appropriata. Giardinieri abituati e stanchi raccolgono metodici. Chiudono in sacchi neri ingoiati da macchine panciute dall'aspetto allegro. Quei resti di giardini curati da estranei cadranno tutti in discariche, mischiati a sacchi di provenienza diversa. Ci sarà dentro di tutto. Vecchi fumetti dimenticati, mozziconi inutilizzabili di matite colorate, gusci d'uovo. Non è importante quanto si cade, quanto si resta stesi, quanto ci si faccia male o si percepisca dolore. Importante risulta rialzarsi. Spolverare le ginocchia sbucciate. E proseguire. Eventualmente incerottare. Si rimanga sereni. Siamo inevitabilmente funamboli. Votati a momentanei annientamenti.

- Solo per chi pratica o vuole avvicinarsi a una qualsiasi arte marziale. Ma anche per curiosi di passaggio. Nel sistema kyū/dan i gradi per principianti cominciano con un kyū numerato in maniera crescente, ad esempio 9 kyū. Il livello avanza in maniera decrescente fino al kyū di numero più basso. Il dan inizia col 1 dan (Shodan, o "cominciando a dan"), sino a giungere ai dan di grado più elevati. I gradi sono assegnati come una "cintura di colore" o mudansha. I karateka con grado di dan sono riconosciuti come yudansha (possessori del rango di dan). Il yudansha porta tipicamente una cintura nera. I requisiti dei ranghi differiscono fra stili e scuole diverse. Un'età minima e il tempo nei gradi sono fattori valutativi di una certa rilevanza.

ENCHANTED WORLD

Si pensi a un mondo possibile. Fuori dal caos delle aree urbane del globo. Fuori dai borghi odorosi di storia. Dai ghiacci e dai deserti. Fuori dai luoghi comuni. Dai cartelloni pubblicitari. Dai cinema e dalle chiese. Dalle foreste, dai monti e dai mari, così come li conosciamo. Si pensi a un mondo di caldi piumini. Dove tutto appare attutito, senza spigoli, senza rumori assordanti. Un pianeta quasi tondo fatto di coperte adatte, un patchwork di colori e forme, preferibilmente pastello. Gli alberi di trapunta, ma anche animali e cose, nascono a batuffolo per poi dispiegarsi nella sera, sotto un cielo di coltrone, nella loro forma definitiva. Che è di trapunta. Anche le case e i loro interni sarebbero soffici come nuvole. Le persone si scambierebbero sguardi da visi paffuti e morbidi. I pesci dei mari di trapunte celesti sarebbero perlopiù pesci palla di cotone imbottito. Di miriadi di colori, nuoterebbero lì, tra scogli morbidi e flutti inesistenti. Le onde non provocorebbero alcun rumore assordante. Solo come di qualcosa di cedevole che si piega più volte per essere riposta. Poi le stelle. Piccoli puntini serici in un cielo cobalto e leggero, nel buio delle notti. La luna di trapunta gialla rischiarebbe con luce naturale il piumone dei mari sottostanti. A codesto chiarore anche quegli astri fantastici godrebbero di luce riflessa. Nel giorno che sorge, albeggia un sole giallo limone di trapunta che scalderebbe sì, ma con un calore moderato e giusto. Il cocente caldo dell'equatore richiamerebbe un ricordo lontanissimo e i ghiacci di trapunta azzurrina sarebbero meno freddi. Il fluire delle stagioni sarebbe segnato da silenziosi mutamenti notturni del colore delle cose e delle forme di vita. Verrebbe la neve. Piccoli fiocchi di cotone cadrebbero a formare una coltre celestiale su cui giocare. Sarebbe freddo e ci si coprirebbe con piumini imbottiti di mille colori. Nessuno avrebbe un brivido. Mai.

27 luglio 2010

ANIMALI FANTASTICI 2 - CANI GUERRIERI

Altro parco cittadino. Ora da canare. Caldo sempre più torrido. Padrone e cani madidi. Donne accaldate, cani con lingua di fuori. E' noto che da lì sudano. Mi schizza tra i piedi Pepe. Bell'esemplare di Jack Russell di circa 5kg. E' a macchie rossicce, tipo mucca pezzata. In miniatura. Rincorre un'inutile pallina gialla. La padrona parla volentieri del suo beniamino e racconta. Sono cani meravigliosi, asserisce convinta. Coraggiosissimi. Si lanciano in qualsiasi avventura, duello, battaglia. A prescindere. Si crede un dobermann. Il carattere è vivacissimo. Si tratta di un cane molto attento e intelligente, gran giocherellone. Non annoia mai. Di contro, ha una predisposizione alla dominanza piuttosto spiccata, ed è quindi consigliabile la sua adozione solo a padroni determinati ad un addestramento attento e costante. In codesto modo, l'energia di questo piccolo tornado resta controllata e si sprigiona solo quando occorre. La presenza di una predisposizione all'indipendenza e al dominio, ma anche della straordinaria capacità di apprendimento di un galateo minimo, lo rendono un cane dal carattere molto variabile. A seconda della qualità dell'educazione ricevuta. La canara argomenta. Io ascolto.
La piccola taglia e il pelo corto hanno sempre più destinato il Russell alla vita d'appartamento. Non sono poche le persone attratte da questa formidabile razza. Questi irresponsabili padroni si sono poi trovati un cane inadatto alle proprie esigenze.
Trattasi di razza assolutamente non autosufficiente per quanto riguarda l'educazione alle regole. Chi non può dedicare la necessaria attenzione all'addestramento assiduo di questo cane, dovrebbe orientarsi verso razze che offrono maggiori garanzie. E' in ogni caso una razza perfetta per chi ha molto tempo libero ed energie dedicate. Esclusivamente in questo modo si costruisce un corretto rapporto con lui. Dall'animale non verranno mai a mancare attenzione e sensibilità. È invece sconsigliato per chi tende a lasciare sviluppare il suo carattere esuberante ed entusiasta senza una guida durevole. Nella maggior parte dei casi infatti, aspira all'indipendenza e alla dominanza suprema. Anche sul padrone. Tanti cari e sentiti Auguri. A chi decide l'acquisto.

DIFESA O PARATA E' GIA' ATTACCO

Torno alle lezioni di karate. Bel clima. Fuori si prepara tempesta perfetta (è titolo di film tradotto in italiano, diretto da Wolfgang Petersen nel 2002). Arriverà di notte. La città per allora dormirà. Chi si allena sente l'umidità dell'aria. Si suda più intensamente, ma la temperatura si è abbassata piacevolmente. I corpi sudano freddo. Oggi lezione essenziale di kobudo. Il Kobudo di Okinawa usa varie armi tradizionali, per lo più di origine contadina. Nel dojo si studia il Kobudo di Okinawa appunto. Sono trascurati il Kobudo giapponese e il Kobudo delle scuole Ninja inteso come Arte antica del guerriero. Le armi utlizzate come detto sono numerose. Per ciò che concerne il Kobudo di Okinawa, oggi spesso s'incontra assimilato all'interno delle scuole tradizionali di jujutsu. E' insegnato l'utilizzo di attrezzi agricoli come armi. In realtà, una gran quantità di arti marziali utilizza armi. Non è innovazione. Spesso si tratta di tecniche desuete. Si pensi ad esempio alla Escrima, conosciuta anche come Kali, antica arte di combattimento filippina. L'Occidente si balocca più volentieri con judo, aikido, kungfu o altre arti diffuse. Che siano di movimento o meditazione, non ha importanza. Le scuole europee non escono volentieri dal conosciuto, che è anche il più richiesto dal mercato della difesa personale. Anche dallo sciocco desiderio di passare cintura.
Prime notizie dell'Escrima si hanno nell'epoca delle iniziali conquiste coloniali. Quei viaggi seguirono alle scoperte dei nuovi mondi attuate da noti navigatori agli inizi del '500. Quando i conquistadores iberici approdarono nelle Filippine, trovarono ad accoglierli tribù agguerrite. Usavano armi tradizionali per difendersi. Ferdinando Magellano ad esempio, venne ucciso nella battaglia di Mactan del 1521 dal venerato capotribù Lapu-Lapu. Lo stesso Pigafetta ce ne fornisce notizia nel suo diario di bordo. Scrive come gli indigeni uccisero Magellano e molti dei suoi uomini con lance e con specie di scimitarre. Li fecero suppergiù a fette. Dopo la conquista, gli spagnoli vietarono l'utilizzo dell'arte marziale indigena. Rimase comunque occultata diabolicamente nelle danze e nei rituali popolari. Gli spagnoli volevano sostituirla con scherma spagnola. Cocciutaggine iberica. Evidentemente non ce l'hanno fatta. Sicché il kali nella sua versione moderna è giunto fino a noi. Anche se con chiara infuenza spagnola che non si è potuta evitare. Il Kali-Arnis-Escrima non si è evoluto in senso sportivo come altre arti marziali. In particolare, si pensi alle tecniche giapponesi e cinesi. Ha mantenenuto invece una certa impronta bellicista dovuta alla sua origine. La particolarità dell'Escrima è che l'allievo principiante comincia lo studio dell'arte marziale imparando ad usare le armi da subito. Solo in seguito si passa al combattimento a mani nude, applicando tecniche e tattiche di combattimento apprese con le armi. Il più di altre arti marziali cominciano invece sviluppando il combattimento a mani nude; prima di passare, là dove siano utilizzate, alle armi. Secondo i sensei filippini avere la disponibilità di un'arma, pone in vantaggio durante un combattimento. Inoltre, è da considerare che utilizzare un'arma focalizza l'attenzione e velocizza i movimenti. Si apprendono movimenti che si dimostrano utili anche nello scontro disarmato e vitali in caso si fronteggiasse a mano nuda un avversario armato. Non ci si riesce a difendere da certe armi, come un coltello, se non si conosce a propria volta come usarle. Se non si ha un'arma a disposizione, il corpo stesso deve diventare un'arma. In questo senso una parata diventa, agita, una prima forma d'attacco. Presentarsi totalmente e autenticamente inermi è cosa di altro mondo. Si potrebbe dire da guru. Per chi crede che abbiano una qualsivoglia valenza.
L'arma più diffusa per cominciare l'apprendimento dell'Escrima è il bastone in rattan (si ricava dal giunco di bambù. Si ottiene asportando la parte superficiale della pianta). Nella lingua autoctona è chiamato olisi, baton, o con altri termini ancora. A seconda dello stile. Lungo quanto il braccio di un allievo, varia dai 45 ai 70 cm. Altri bastoni usati per l'allenamento è possibile siano realizzati con legni più resistenti e duri del rattan. Sono usate anche aste d'alluminio o costruite con plastiche molto resistenti. Si comincia con l'imparare il combattimento con due armi, che possono essere due bastoni, due coltelli o un bastone e un coltello. Altre armi tradizionali possono essere il bastone lungo, il bastone da pugno il pocket stick, la lancia, lo scudo, la frusta e il nunchaku. Queste si aggiungono alle classiche armi da taglio filippine di medie dimensioni simili a quelle malesi: bolo, kampilan, barong, kriss. Quest'ultimo è descritto da Salgari ne I misteri della giungla nera. Anche ne I pirati della Malesia, mi pare che che l'autore ne parli. C'è di mezzo la setta dei Thugs della Tigre dell'India. "Se la Tigre dell'India è furba, quella della Malesia non lo sarà meno. Vieni, Yanez" (cap.II, da Le due tigri, Salgari 1904).

bolo - specie di machete
kampilan - arma da taglio con lama assottigliata verso l'impugnatura
barong - arma da taglio con lama a foglia leggermente curvata all'interno
kriss - arma da taglio con lama serpeggiante. Esiste anche in diverse dimensioni. In genere, più piccolo.

26 luglio 2010

IMBARCAZIONI

Si cerca refrigerio e riposo in località marine. Si fugge scompostamente da aree urbane roventi. Si intravedono magnifici legni in porti per pochi. Barche modeste a frangere i flutti di fiumacci a ridosso di porti turistici. Un bailey bridge accosta le sponde di corso d'acqua melmoso e maleodorante. Anche in località turistiche rinomate per i loro sfarzi passati e presenti. Le imbarcazioni in ogni caso catturano l'occhio di chi transita in quei luoghi. A volte, prima del mare. La barca, che sia traghetto, nave o veliero è metafora. Si sa. Nei sogni irrompe come movimento nell’esistenza, archetipo del divenire. Solca spesso le acque del tempo. Rappresenta inoltre sicurezza e possibilità di stare a galla, di progredire e di tutelarsi. A significare anche nostalgia di madre, circonda e comprende. E' la prima culla, come insegna Bachelard (1884–1962). Con essa, si attraversa la vita.
Il vecchio ponte di barche a Fossalta di Piave (Provincia di Venezia) - Chiara Polita

Le culture e i miti narrano di imbarcazioni mortuarie e rituali che accompagnano i defunti. Sono barche fatate, eteree, barche radiose o barche che si inoltrano in un mondo mercuriale e ctonio. In quei luoghi, la barca diviene bara e ricomincia l’eterno ciclo. E' possibile che l’ultimo viaggio torni ad essere anche il primo. Non a caso basta togliere una c sin troppo facile. Sicchè tali significati simbolici si ripropongono nel corso del tempo. Recuperati dalla psicoanalisi, si fondono a metafora di femminilità accogliente e ricettiva. A tutte le sue fasi, a cui la barca, per la sua forma concava, rinvia. Se la mente si centra sul movimento di fendere le acque, il significato si sposta sul viaggio, sulle condizioni della mente e dello spirito di chi naviga e sogna. Un’energia maschile si intuisce nella prua che avanza, nell'albero che svetta, nel muovere del vento. La barca della dimensione onirica porta a un traguardo che riguarda da vicino, in un percorso che riflette i sentieri dei giorni, delle emozioni, di ciò che accade, delle contraddizioni del percorso individuale.
La barca galleggia e procede in mare calmo, il procedere umano ugualmente avanza verso i traguardi ed i desideri che spesso sostengono. Va dritta spinta dal vento. In questo caso si coglie la forza del pensiero o della volontà. Ma anche le questioni ineludibili. La barca è in balia delle onde. Riflette pertanto l'attitudine a lasciarsi vivere. Ma anche la capacità di controllo, come pure ciò che colpisce e ferisce.
La barca presenta (Glossario termini marinari - tratto dai manuali del Centro Servizi AssoPesca Molfetta) la poppa alla banchina. Si arriva a ciò che si aspira. Oppure naufraga miseramente, sicchè i desideri traccheggiano. Saremo depressi perché si subisce sconfitta. Spesso si resta anche soli.

Il ponte Bailey è un tipo di ponte costituito di elementi modulari, in genere di legno non pregiato. Prende nome dal suo ideatore, ingegnere britannico Donald Bailey. Prodotto strategicamente nel corso della II guerra mondiale, a sostituire i ponti distrutti durante conflitto. Il modello ha varianti: il ponte può essere costruito su una o più campate. I suoi elementi possono essere anche utilizzati per costruzione di pile intermedie, a supporto di ponteggi temporanei.

16 luglio 2010

UNA PARATA O DIFESA E' GIA' UN ATTACCO

Torno alle lezioni di karate. Bel clima. Fuori si prepara tempesta perfetta. Arriverà di notte. La città per allora dormirà. Chi si allena sente l'umidità dell'aria. Si suda più intensamente, ma la temperatura si è abbassata piacevolmente. I corpi sudano freddo. Oggi lezione essenziale di kobudo. Il Kobudo di Okinawa usa varie armi tradizionali, per lo più di origine contadina. Nel dojo si studia il Kobudo di Okinawa appunto. Sono trascurati il Kobudo giapponese e il Kobudo delle scuole Ninja inteso come Arte antica del guerriero. Le armi utlizzate come detto sono numerose. Per ciò che concerne il Kobudo di Okinawa, oggi spesso s'incontra assimilato all'interno delle scuole tradizionali di jujutsu. E'insegnato l'utilizzo di attrezzi agricoli come armi. In realtà, una gran quantità di arti marziali utilizza armi. Non si tratta di innovazione. Spesso si tratta di tecniche poco conosciute. Si pensi ad esempio alla Escrima, conosciuta anche come Kali, antica arte di combattimento filippina. L'Occidente si balocca più volentieri con judo, aikido, kungfu o altre arti diffuse. Che siano di movimento o meditazione, non ha importanza. Le scuole europee non escono volentieri dal conosciuto, che è anche il più richiesto dal mercato della difesa personale o dello sciocco desiderio di passare cintura.
Le prime notizie dell'Escrima si hanno nell'epoca delle prime conquiste coloniali. Quei viaggi seguirono alle scoperte dei nuovi mondi attuate dai noti navigatori agli inizi del '500. Quando i conquistadores iberici approdarono nelle Filippine, trovarono ad accoglierli tribù agguerrite. Usavano armi tradizionali per difendersi. Ferdinando Magellano ad esempio, venne ucciso nella battaglia di Mactan del 1521 dal venerato capotribù Lapu-Lapu. Lo stesso Pigafetta ce ne fornisce notizia nel suo diario di bordo. Scrive come gli indigeni uccisero Magellano con lance e con specie di scimitarre. Li fecereo suppergiù a fette. Dopo la conquista, gli spagnoli vietarono l'utilizzo dell'arte marziale indigena. Rimase comunque occultata diabolicamente nelle danze e nei rituali popolari. Gli spagnoli volevano sostituirla con scherma spagnola. Cocciutaggine tipicamente iberica. Evidentemente non ce l'hanno fatta. Sicché il kali nella sua versione moderna è giunto fino a noi. Anche se con chiara infuenza spagnola che non si è potuta evitare. Il Kali-Arnis-Escrima non si è evoluto in senso sportivo come altre arti marziali. In particolare, si pensi alle tecniche giapponesi e cinesi. Ha mantenenuto invece una certa impronta bellicista dovuta alla sua origine. La particolarità dell'Escrima è che l'allievo principiante comincia lo studio dell'arte marziale imparando ad usare le armi da subito. Solo in seguito si passa al combattimento a mani nude applicando le tecniche e le tattiche di combattimento apprese con le armi. Il più di altre arti marziali cominciano invece sviluppando il combattimento a mani nude; prima di passare, là dove siano utilizzate, alle armi. Secondo i sensei filippini avere la disponibilità di un'arma, pone in vantaggio durante un combattimento. Inoltre, è da considerare che utilizzare un'arma focalizza l'attenzione e velocizza i movimenti. Si apprendono movimenti che si dimostrano utili anche nello scontro disarmato ed vitali in caso si fronteggiasse a mano nuda un avversario armato. Non ci si riesce a difendere da certe armi, come un coltello, se non si conosce a propria volta come usarle. Se non si ha un'arma a disposizione, il corpo stesso deve diventare un'arma. In questo senso una parata diventa, agita, una prima forma d'attacco.
L'arma più diffusa per cominciare l'apprendimento dell'Escrima è il bastone in rattan. Nella lingua autoctona è chiamato olisi, baton, o con altri termini ancora. A seconda dello stile. Lungo quanto il braccio dell'allievo, varia dai 45 ai 70 cm. Altri bastoni usati per l'allenamento è possibile siano realizzati con legni più resistenti e duri del rattan. Sono usate anche aste d'alluminio o costruite con plastiche molto resistenti. Si comincia con l'imparare il combattimento con due armi, che possono essere due bastoni, due coltelli o un bastone e un coltello. Altre armi tradizionali possono essere il bastone lungo, il bastone da pugno il pocket stick, la lancia, lo scudo, la frusta e il nunchaku. Queste si aggiungono alle classiche armi da taglio filippine di medie dimensioni simili a quelle malesi: bolo, kampilan, barong, kriss. Quest'ultimo è descritto da Salgari ne I misteri della giungla nera. Anche ne I pirati della Malesia, mi pare che se ne parli. C'era di mezzo la setta dei Thugs della tigre dell'India.

bolo - specie di machete
kampilan - arma da taglio con lama assottigliata verso l'impugnatura
barong - arma da taglio con lama a foglia leggermente curvata all'interno
kriss - arma da taglio con lama serpeggiante. Esiste anche di dimensioni inferiori.

Non so come questo post risulta ripetuto. Spero non offenda. Lascio. In realtà c'è piccola variante. Soccorro il distratto lettore. La faccenda del guru si trova là e non qua. Presenti altre trascurabili variabili. Cercatele.

ECCESSO

Poto un gelsomino domestico, generoso ma invadente. E' sera, le luci delle case di fronte rischiarano appena la pianta da trattare. Eseguo con simulata scioltezza movimenti nella semioscurità. Rifletto sugli eccessi. Questo arbusto mi da pensieri pedanti. Siamo in genere troppo indaffarati, mangiamo troppo, sudiamo troppo, siamo ricchi in modo sproporzionato. E ancora siamo esagerati negli abiti che portiamo con falsa nonchalance, le donne sono spesso troppo bionde, siamo troppo immersi nel nostro mondo. Si vive in modo soverchio una specie di incubo solitario e insistente. Siamo esagerati nell'educare i figli che diventano pericolosamente un'eccedente copia di noi stessi. Siamo esorbitanti nelle auto che possediamo, ci circondiamo di miriadi di oggetti inutili. A riempire un vuoto incolmabile. Non ci basteranno mai, ma continuiamo insensati acquisti. Le dimore sono sfarzose e opulente, a dimostrazione di quanti troppi denari abbiamo. Al contrario, qualcuno esibisce troppo uno stile di vita eccessivamente pauperistico. E poi abbiamo troppe alcove in cui distenderci e fare ginnastica. Oppure, senza alcuna mediazione, troppa ascesi con cui governiamo una vita ostinatamente senza sesso. In ogni caso, facciamo fitness in modo smodato. Possediamo come se fosse cosa naturale un'infinità di case: in montagna, al mare, in città. C'è chi non si fa mancare nemmeno un cottage in campagna. Magari in paese straniero adatto. Talvolta si dispongono anche oggetti di valore in quantità smisurata. C'è chi detiene un potere che appare pressochè immenso e totalmente feroce. Tanto più è quantitativamente rilevante, perchè governa molte persone, luoghi e intensi legami politici. Spesso trattasi di maschi alfa alfa, tronfi e ubriachi di quello che fanno e di quello che credono di essere. Sempre troppo. A volte sono brevi dormitori. Stanno troppo svegli, senza apparenti conseguenze. Credono che il mondo riposi tre ore per notte come loro. Inviano troppi messaggi telefonici notturni a malcapitati collaboratori, senza ritegno per la vita privata altrui e le forze limitate del prossimo. Esigono senza misura, devozione e fedeltà più che assolute. Hanno quantità di amanti indescrivibili. Fanno male totalmente a se stessi e a chi gli sta intorno. Spesso in giochi troppo complessi. E nessuno capisce quel che succede. Alle aziende fanno guadagnare troppo. Risanano, esagerando, bilanci fallimentari. In generale, ci sentiamo troppo dio. Siamo tutti invece troppo ignoranti, senza idee e senza alcun progetto concreto da realizzare. Viviamo futilmente alla giornata. Siamo troppo in ansia per un futuro che non c'è ancora. Esageratamente voltati a un passato che non rappresenta più nulla e troppo proiettati nel futuro che è in mano al fato e non dipende da noi. Siamo troppo orgogliosi, pigri, faccendieri, esuberanti, introversi e noiosi. Siamo un modello assoluto, inimitabile. Anche questo post sta diventando eccessivamente lungo in modo assai imbarazzante. Troppo.

* Se si attua una query con un motore di ricerca mediamente potente, è possibile individuare degli "oggetti perfetti". Questo è troppo perfetto. Ero incerto se proporlo al lettore. Ma sono troppo entusiasta di ciò che ho trovato. Sicchè eccolo. Nell'immagine è proposto l'orologio maxi ingranaggio silver realizzato in materiale plastico, disponibile anche in nero.

14 luglio 2010

ARMI

Nonostante il gran caldo, mi dirigo al dojo. L'addestramento inizia pigramente, forse anche il Sensei mal sopporta l'afa urbana. Sudiamo tutti come maiali. Il Sensei non permette di aprire la finestra. A metà circa della lezione mi fornisce del standard. Il principio d'uso è l'aumento della forza del colpo tramite la leva. Talvolta l'atrezzo è chiamato rokushakubo (六尺棒). I sono di diversi materiali, da un semplice pezzo di legno raccolto per strada ad armi ornamentali decorate fatte di legni o materiali diversi. Quello fornito a me è di legno, con fasciature di plastica verdi e rosse a partire dal centro. E' il più pesante del mazzo. E' per studio, mi dice il Sensei. Ho ancora tracce del livido della volta prima, circa un mese fa. La palestra aveva risuonato. Vergogna. Sto più attento e questa volta non mi colpisco. Il Sensei mi fa sedere ai margini del tatami, per osservare le tecniche. Oggi non mi imbroglio e l'arma veicola leggera nell'aria. Per quel che riesco a fare. Il maestro mi insegna la posizione. Dritto al plesso solare. Immagino che così si possa tramortire l'avversario. Ma anche spaccargli le ossa di gambe e braccia, volendo. I più bravi, con il tocco fine dell'arma, potrebbero anche danneggiare seriamente le dita di mani e piedi. Mi alleno da solo, da una parte del tatami, mentre i più esperti proseguono con tecniche sofisticate. Il Sensei mi richiama di nuovo al gruppo. Ancora qualche movimento e poi si passa al nunchaku, altro dispositivo interessante. Mi dice di allenarmi da solo. Mi mostra esercizi per agilizzare i polsi e imparare a sentire la tenuta dell'arma. Mi rinvia ancora fuori dal tatami. Non so come, dopo i movimenti di base, mi partono fendenti pericolosi. Mi circondo di morte. Il nunchaku può, a differenza del , strangolare, sfasciare il cranio o colpire dove capita l'avversario. E' un'arma molto potente. L'aria sibila, a seguito dei movimenti. Il rumore provocato è magnifico.

*Il nunchaku venne modificato in un bastone snodato a due pezzi chiamato shuāng jié gùn, uno strumento agricolo usato per trebbiare il grano ed il riso. Come testimonianza europea dell'uso contadino di questo strumento, si veda il dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio intitolato Il paese della cuccagna (1567). Nel quadro il pittore ha scelto di raffigurarlo in modo sovradimensionato. Non so se esisteva davvero di queste proporzioni o se ha ridisegnato a modo suo l'arma. Forse è presente, nella parte a sinistra il alto nel dipinto, anche un bō. Non è dato sapere.

12 luglio 2010

DELITTI ITALIANI

Andiamo in gita fuorimano. Lasciamo la città alle spalle in giornata di calura estiva. Raggiungiamo colline verdeggianti di regione confinante. Passiamo la giornata tra canti e grigliate. Si torna in città di sera. Sulla città, cumulinembi minacciosi si addensano e preparano un forte temporale estivo. Il viaggio di ritorno, circa due ore, è passato tra risate e discorsi disimpegnati. Bordeggiamo la metropoli nella rete delle tangenziali. La pioggia è ormai sempre più forte. Il mio amico alla guida sbaglia strada. Ci ritroviamo in cantieri stradali domenicali non urgenti e divieti di passaggio. Ci perdiamo. Non so com'è, il muro d'acqua che ci attornia, nella brughiera metropolitana, ci richiama i delitti italiani più recenti: Cogne, Erba, Garlasco e Novi Ligure. Entriamo nei dettagli. Ogni passeggero dell'auto allagata aggiunge i suoi dettagli. Si formulano ipotesi chimeriche. Chi guida ascolta i racconti e cerca una strada che ci ricongiunga all'abitato. Fuori il diluvio. I particolari dei delitti scorrono nelle parole dei presenti. Il guidatore ritrova alla fine la strada. Per rifarci dell'atmosfera lugubre che ci ha assalito, parliamo di nani da giardino. Arriviamo che spiove.

*L'immagine raffigura in effetti gnomi e non nani. Le due specie non sono molto distanti. Per questi gnomi è evidente che si tratta di oggetti in vendita. Sicchè chi li desidera, può acquistare ed avere uno gnomo dotato di coniglio, scoiattolo o trombone.

SCACCHI

Nel 1952, durante un discorso all'Associazione scacchistica dello Stato di New York, il pittore Duchamp afferma: “…obiettivamente una partita a scacchi somiglia molto a un disegno a penna, con la differenza che il giocatore di scacchi dipinge con le forme bianche e nere già pronte, invece di inventare le forme come un artista. Il disegno che si ottiene in questo modo sulla scacchiera non ha, apparentemente, un valore visuale estetico, ed è piuttosto simile a uno spartito musicale che si può suonare più volte. Negli scacchi la bellezza non sembra un'esperienza visiva come nella pittura. La bellezza degli scacchi è più vicina a quella della poesia. I pezzi sono l'alfabeto stampato che dà una forma ai pensieri, e questi pensieri, pur formando un disegno visivo sulla scacchiera, esprimono una loro bellezza "astrattamente" come una poesia. Io credo veramente che ogni giocatore di scacchi provi due piaceri estetici insieme, prima quello dell'immagine astratta simile all'idea poetica di scrivere, poi il piacere sensuale dell'esecuzione ideografica dell'immagine sulla scacchiera. Sono stato in stretto contatto con artisti e con giocatori di scacchi e sono arrivato alla conclusione personale che mentre tutti gli artisti non sono giocatori, tutti i giocatori di scacchi sono artisti”.

PROVE DI SESSO

Vago in spazio verde cittadino in cerca di un'impossibile frescura. Mi accascio su una panchina, ad aspettare che l'afa passi. Di fronte a me, un gruppo di evidenti liceali ormai fuori dal giogo degli impegni scolastici. Avranno 15 o 16 anni. Sono nove, quattro ragazze e cinque ragazzi. Le femmine vestono abiti succinti, ma non vistosi. Fa caldo. Hanno tutte capelli castani, lisci e sciolti. La testa più chiara li ha accroccati in uno chignon imperfetto. Si fanno scattare foto ricordo, in bilico su una panchina di legno verde. Qualcuna perde l'equilibrio. Cade e ride, in posa drammatica.
Sembrano davvero compagni di scuola. Ostentano una confidenza cameratesca. Si toccano inavvertitatemente le spalle e le mani. Gira un pallone da rugby. Le ragazze si impegnano in tiri incerti e poco profondi. Si sentono parolacce innocenti. I ragazzi fanno quelli che conoscono il gioco e insegnano come tirare la palla ovale. Per fare questo, un giovane si inginocchia davanti a Noemi. Lei ha l'aria di far finta di imparare quello che in realtà sa già. Lui è come in adorazione davanti ad un altare pagano.
I ragazzi risultano alla moda, sbragati quanto basta. Anche loro scuri di capelli, uno mostra sfacciato il dorso nudo. A un certo punto, parte una hola entusiasta per non so che, per attirare l'attenzione delle ragazze. Impazienti, le giovani donne si dirigono alla fontana. I ragazzi restano soli. "La tua compagnia è diventata anche la mia. Pezzo di stronzo. Questa è la legge". Parlano anche di una chat che riguarda gli Anime (cartoni giapponesi molto in voga tra adolescenti). "E' una cosa ovvia. Però porca puttana, lasciami sognare che alla fine la impicca. Mi ha detto come finisce. Ci arrivavo anch'io".
Le ragazze tardano a ricomparire, i ragazzi sono nervosi. Temono che la fontana le abbia inghiottite. Torno a casa.

*Paul Klee, Red Balloon, 1922
Si possono immaginare bambini che giocano con una palla rossa, evidente in primo piano nella parte alta del dipinto. Se ne possono intuire nove.

8 luglio 2010

LO VEDO PASSARE

Mi sembra lui, ma non sono sicuro. E' il mio vecchio gatto. Un soriano rosso che dovrebbe avere circa diciassette anni. Sarebbe un'età veneranda per un felino domestico. Un antico detto, forse indiano, recita: "Dio ha dato il gatto all'uomo, perchè possa provare cosa significa accarezzare una tigre". Gli antenati erano saggi. Il mio gatto si chiama Bignè. E' un carattere ribelle, scostante e ostinato. Amava solo me e odiava solo me. Esclusivamente a me erano dedicati i suoi graffi e i suoi morsi. Ne porto i segni. Poi un giorno all'improvviso è scomparso, da una casa con troppe persone che evidentemente non ha gradito. Se ne è andato così, le ragioni vere le ignoro. Dopo una muta accettazione del ricovero che gli ho fornito per anni, si è eclissato. Erano i giorni di una pasqua fredda e ventosa di alcuni anni fa. Per mesi non ho riscontrato tracce. Poi, di nuovo all'improvviso, continuavo a vederlo nei dintorni. Almeno, mi sembrava lui o volevo che lo fosse, non so dire.
E' un gatto prelevato da una vecchia villa del centro Italia. La padrona, un'eccentrica matrona della provincia meridionale, diceva che amava alla follia i gatti. In realtà, la magione in cui abitava da sola aveva un enorme giardino, limitrofo alla strada provinciale del paese. Un numero imprecisato di gatti lo abitava, raccolti in diverse colonie. In casa, nemmeno l'ombra di un animale, ma importante vasellame orientale. La strada faceva il suo lavoro di contenimento delle nascite. Sicchè spesso i piccoli venivano sfrittellati impietosamente da distratti veicoli di passaggio. Da lì veniva il mio gatto. Desideravo un gatto rosso, non di razza. Ho avuto quell'occasione, era l'unico di una recente cucciolata che rispondesse ai miei canoni. L'ho raccolto senza pensarci due volte. Aveva circa due mesi ed era già ferocissimo. Sempre unghie di fuori, soffiava a chiunque lo avvicinasse. Non è cambiato molto negli anni di convivenza con me. Mi elesse a capobranco, ma ho sempre pensato di non andargli troppo a genio. E me lo faceva capire. Vasi rotti, graffi, morsi alle caviglie e agguati improvvisi, la sua cifra caratteriale. Quei tratti scontrosi e selvaggi erano il suo fascino. A volte, mi saltava in braccio, soprattutto quando ero seduto sul divano in tinello. Non sdegnava rare coccole dietro le orecchie. Mi spingeva lì la mano con il muso, se le desiderava. Quando lo vedo passare, nei dintorni di casa mia, mi sembra felice. Vecchio, ma sicuro della libertà riguadagnata. E' cristallino che del prezzo pagato non gli importa nulla.

GOLDEN YOUTH

Hanno tutto. Soldi, gioventù sfavillante, bellezza di corpi curati e coccolati, abiti alla moda e costosi, scarpe da ginnastica lussuose. Eppure sono infelici. Assumono una controllata aria malinconica, come da chi ha perso il gatto. Imbronciati, sguardi sfuggenti, quel tanto che basta a farsi giudicare comunque persone interessanti. A volte studiano all'università, con variabili risultati. Molti posteggiano in ambulacri accademici per anni. Così. Per un senso indefinito di diritto ad essere in quel posto, pur non facendo nulla di concreto per il proprio futuro. Sono belli da far male. Sono molto sensibili e disarmati. E ignorano. Non sanno nulla del mondo che li circonda. Delle povertà esistenziali e reali di tanti loro coetanei. Persi in labirindi di disperazione personale e ineffabile, discettano su problematiche psicologiche in cui si sentono invischiati. A detta loro, senza possibilità di scelta.
Si immaginano e a volte agiscono un codice di comportamento fatto di footing serale, pasti preparati da madri imperfette ma devote, nonni asfissianti ma presenti, case grandi e accoglienti ma mai bastanti. Vorrebbero più soldi, non si accorgono che ne hanno sin troppi. Ritengono che il denaro risolva i loro problemi immaginati, così per movimentare la situazione. Sono assediati dalla noia e fantasticano su un futuro fatto di famiglie modello che non esistono. E di cui ritengono di essere stati privati fin dall'infanzia. Vivono con un dolore smisurato. Non sorridono se non con forte vena malinconica, gli occhi sono spesso inaspettatamente profondi. Il corpo negli spazi si muove incerto, quasi in punta di piedi. La camminata non è salda e spesso fumano sigarette forti e costose.
Basterebbe che il Codice secondo cui si impegnano così ostinatamente a vivere, non fosse percepito come un testo sacro, assoluto. Basterebbe che fosse inteso e interpretato in modo più morbido e vicino alla vita che accade davvero. E non come l'inevitabile segno del destino. Basterebbe che fosse inteso come fosse una traccia. Se così facessero, si accorgerebbero d'incanto che la vita è altrove.

* F**k the Golden Youth - Se il nome che appare sul tamburo della batteria è il nome del gruppo non so. I Sonic Youth invece sono un gruppo alternative/noise rock statunitense, formatosi nel 1981. Ha all'attivo oltre 20 album. I componenti del gruppo sono Kim Gordon, Lee Ranaldo, Thurston Moore e Steve Shelley. Non necessariamente in quest'ordine.

7 luglio 2010

PIOVONO PASSERI

Ogni giorno, ormai da quasi una settimana. Nel cortile antistante la scuola, micidiale tettoia bombata uccide passeri di passaggio. Che non vedono la trasparenza della pensilina e ci sbattono contro in volo lanciato. Probabilmente muoiono sul colpo. L'ostacolo non era previsto, nessuno dei volatili ha tentato un rallentamento del volo. Nessuno degli uccelli può vedere la trappola, si immagina nel pallore ambiguo dell'alba. O nelle luci sbagliate della sera estiva. Sembrano tutti uguali. Passeri urbani, ingrigiti dallo smog e dalla mancanza di aree verdi adeguate. Pancia grigia, ali marroni screziate di nero. Vicino alla testa il colore si intensifica, fino ad arrivare al becco quasi nero. Le zampette sono sempre irrigidite in una specie di smorfia estrema. Il colore è rosa sporco e scuro. Gli occhi marroni spalancati sul nulla riflettono comunque il cielo. Nella mano sento un peso inverosimile, inesistente. Eppure poche ore prima era una perfetta macchina per il volo libero. Ogni giorno ne raccolgo uno e lo butto pazientemente nel cestino verde della spazzatura. Mi tocca sempre lavarmi le mani quando rientro a scuola.

6 luglio 2010

IL CORPO NECESSARIO

Assumono pose inesplose o sparpagliate nelle aule. Si frangono nei corridoi nei radi momenti di libertà fittizia. Inutili onde di mare chiuso. Li vedi passare, mano nella mano, le braccia avvinghiate alla vita o alle spalle del compagno. Così miseri e disperati. La testa non sostiene quasi mai un corpo centrato su un sè che resta instabile. L'equilibrio dei corpi degli allievi è sempre precario, in bilico tra la terra e il cielo. Così è e non ci si pensa. C'è chi non ha la percezione della propria fisicità nello spazio, se non come rinvio dato dagli altri. Un compagno, il padre, l'amico. Sei grasso, sei bella, troppo alta, troppo basso. Così si definiscono gli adolescenti che ho in addestramento. E ci credono. Non vivono la provvisoria precarietà dell'involucro che li definisce. Non sanno e non vogliono sapere che cambieranno. Vivono un tempo assoluto e inattaccabile. Si sentono onnipotenti, a partire dal corpo. Nessuno vive il proprio fisico come fosse un tempio. Come dovrebbe essere considerato. Un luogo che va curato, custodito e protetto contro il mondo e i suoi inevitabili attacchi. Si illudono che sia reale la lusinga dei simulacri digitali: Internet, cellulari, videogiochi. Non capiscono che se non c'è la fisicità, il corpo appunto, tutto resta frammentato e ingannevole. Sfugge ai più il senso del corpo, come segno vivo di anima e carne. Molti filosofi a ragionarci ci hanno perso la testa. Il cinquantenne si finge adolescente e adesca giovani donne su chat per teenager. Quando la ragazza capisce in genere è troppo tardi. In quei luoghi, in ogni caso la comunicazione vera è inesistente, proprio per l'assenza del corpo. Si ha comunicazione reale solo ed esclusivamente se c'è la presenza in un hic et nunc, che solo la necessità del corpo può esprimere. Corpi come katane, inesorabili e spietate. Uniche, ognuna nel suo genere. Non c'è spada da samurai uguale ad un'altra. La loro particolarità non sta solo nella forgiatura artigianale, ma anche nell'uso che ne viene fatto. Difendersi, aggredire, giocare, colpire o altro; fa la differenza. Ognuno il suo stile, la sua inappellabile necessità. A volte, nel buio i colpi sono inaspettatamente più precisi, attenti a seguire uno sguardo interiore che difficilmente sbaglia.
E poi il corpo spirituale, etereo, che comunque necessita di quello fisico per esprimersi al meglio. Emana energie sottili, spesso incontrollate e incontrollabili, segrete. Molti le posseggono e non lo sanno. Non vengono utilizzate nè considerate risorsa. Ma è sempre il corpo che parla il suo particolarissimo linguaggio. Siamo noi che non lo vogliamo sentire. Ancora meno ascoltare.

5 luglio 2010

FUORI COME UNA BISCIA SVIZZERA

Siamo a scuola. E' ora di pranzo. Pasteggiamo in un pallido lunedì assonnato per tutti. Girano pietanze light in previsione della prova bikini. Mi dirigo in bagno per abluzioni post prandiali. C'è odore marittimo e non è buono. A gran voce dico: "Ehi, qui sembra una pescheria. C'è odoraccio di pesce. Chi ha buttato l'olio del tonno?". Silenzio imbarazzato. Il direttore rientrato aveva appena scolato una scatola di sgombro nel lavandino.
Racconto di una collega. Va in Svizzera con amica intima. L'amica guarda le mucche nei verdi pascoli e chiede se non abbiano nulla di strano. La collega dice che lei non vede altro che bovini normali che brucano erba. L'amica seria le dice che le mucche in Svizzera hanno due gambe più corte. Dalla parte del monte, dove sono al pascolo, le estremità sono visibilmente più corte, per non squilibrare l'animale. Infatti sui pascoli le vacche sono girate tutte dalla stessa parte. Esistono branchi che hanno le gambe più corte o a destra o a sinistra, a seconda della parte in cui mangiano. Nascono così. La descrizione fittiziamente etologica, meglio di una puntata di Quark, va avanti nei dettagli più circostanziati ed enciclopedici per più di un'ora.
La collega si perde in noto paese dormitorio dell'hinterland della metropoli. E' inverno. Dappertutto c'è nebbia fitta, ma in quel preciso paese no, tutto riluce nel chiarore della sera inoltrata. La solita amica le dice che lì pagano la tassa per non avere la nebbia. La collega dice che probabilmente pagano molto. Effettivamente, rincalza l'altra, pagano cari i ventilatori che sovrastano il paese. La collega cerca con lo sguardo i ventilatori. Non li trova.
L'amica ha un padre molto affascinante, manager di nota multinazionale del farmaco. Occhi di ghiaccio, capello brizzolato, fisico scultoreo nonostante i 60 anni; spoglia con lo sguardo qualunque creatura odori anche solo vagamente di femmina. E' nomade sessuale, neanche a dirlo. Nella mega villa di proprietà ha un hangar con quattro autovetture, benché in famiglia siano solo in tre. La macchina dello sciupafemmine è una mercedes nera con interni di alcantara color ghiaccio. La collega basisce davanti alla manifesta opulenza del proprietario e vuole provare come ci si sente a sedersi in una vettura come quella. Entra in macchina, accende lo stereo che attacca: "La Giuanina l'è andada giù senza mudand...". La melodia, con chiara inflessione dialettale, prosegue tra le celie degli astanti.
La baita in cui sono stato nel weekend è più alta davanti e più bassa dietro, dato che è costruita su un altopiano in quota. Le stanze a piano terra sono seminterrate dalla parte della montagna. Nella parte più interna, quindi più bassa, è rimasto un nucleo storico dell'edificio, datato fine '700. Lì i montanari stagionavano i formaggi prodotti nell'alpeggio. In quel luogo, ci starebbero d'incanto le mucche svizzere della mia collega. Davvero.

COSE ESTREME

La città è un forno industriale. Non si respira. I genitori di Sveva e Luciano mi invitano in baita fuorimano. Partiamo nel secondo pomeriggio di sabato. Ci lasciamo alle spalle la metropoli e raggiungiamo in circa un'ora un piccolo addensamento montano. Già uscendo dalla città, nuvole di calore ci aspettano ai margini della montagna. Arriviamo che la pioggia scende potente, catartica. Al paese cambiamo mezzo e ci arrampichiamo su una vecchia jeep. Si prende poi uno sterrato per arrivare al luogo. Quando saremo arrivati, ci troveremo su un altipiano intorno ai 1100m di quota. Il mio amico guida sicuro, su per un'impervia carrareccia inondata da un acquazzone impietoso. La carraia larga poco più di tre metri, si arrampica a ridosso della montagna. A destra lo strapiombo, a sinistra rocce confuse in vegetazione pedemontana. Pur con le ruote motrici in assetto, il veicolo slitta, fa fatica. Sembra di stare su un cavallo al piccolo trotto nel fango. Il treno posteriore è portato via di continuo da qualche smottamento imprevisto. Ma l'animale tiene, si scompone appena. Il muro d'acqua si addensa. In macchina il vetro si appanna e si vede a fatica la strada. Tipico temporale estivo. Violento e inesorabile. I miei amici considerano l'idea di tornare in città. Suggerisco di proseguire, se possibile. Lasciamo la jepp ai piedi di altra strada, ancora più impervia e disacciottolata. In genere, tempo permettendo, si può percorrere inserendo tutte e quattro le ruote motrici. Oggi non è cosa. Ci forniamo di cerate e ci incamminiamo. Dopo circa 15 minuti di strada, con la pioggia che continua a venire forte, arriviamo. Siamo zuppi da far pietà. Faccio subito una doccia gelata, per togliere l'umidità assorbita. Non ho brividi. I bimbi si asciugano alla meno peggio. Il mio amico accende il generatore. La casa è sprovvista di allacciamenti elettrici. Però c'è tanta acqua. E' ora di cena e mangiamo avidamente piatti di cibo bollente. Improvviso, si rischiara. I bimbi a letto, i grandi a guardare le stelle. Che non ci sono. In cambio, nuvole di lucciole rischiarano un cielo ancora plumbeo per il recente uragano. Piccole lanterne cinesi a rischiarare la notte. Ne conto nove. Alle spalle una montagna dolomitica poco conosciuta; di fronte invece, nota montagna, dietro alla quale il temporale continua con lampi coreografici. La serata è magnifica. Siamo tutti cotti. Si va in branda. Il giorno dopo, cielo spettacolo. Sole caldo e volta azzurro intenso sbavato di nuvole rade. Appena un refolo leggero che muove a tratti il paesaggio. Per sdebitarmi, mi do da fare a ridurre una vegetazione selvaggia che assedia la baita da ogni parte. In particolare, apro la strada a sempreverdi nascoste da erbe alte un metro. Faccio fatica. Fumo qualche sigaretta, seduto sopra un secchio di vernice vuoto, ribaltato. Assumo posa da All Blacks in panchina. Ma sono vestito di blu non di nero. Non danzo la Ka Mate, non avrei energie e nemmeno saprei. Il mio amico e i bimbi vanno a valle per la spesa. Io continuo un eroico lavoro di potatura e sistemazione delle piante. Sposto terra, taglio erbe, sfrondo alberi sfacciati che riducono l'accesso alla casa. Sistemo due rovi di more. Quando tornano è mezzogiorno passato. Si mangia. Dopopranzo Sveva e Luciano mi chiedono di bagnarli con la canna da giardino. Permesso accordato. E' il finimondo. Acqua sruzzata ovunque. Si appropriano del tubo e gestiscono il gioco. Sveva istiga il fratello: "Dai, che sei fatto di acqua. Che problema hai?". Fradici tempo zero. Il gioco prosegue. Io riprendo il mio lavoro di contadino. Recupero terra, tolgo infestanti, invito i bambini a raccogliere fragole selvatiche. Crescono copiose in un'idea di giardino roccioso zeppo di felci. All'improvviso un ragno verdemela mi sale sulla mano. In un attimo lo perdo nell'erba ancora troppo densa. Era bellissimo.

*La montagna dolomitica alle spalle della baita che descrivo. E' immagine invernale, ieri la neve non c'era. L'edificio che si scorge non è la casa di cui racconto. Trattasi di rifugio su itinerario per escursionisti. La baita è situata sul versante nord, perciò è dietro le cime fotografate. Al tramonto, il quarzo della dolomia, la pietra di cui è composta la roccia del monte, rifrange la luce del sole. Appare rosa.

2 luglio 2010

FATICA

Nella zona limitrofa alla scuola scorre una roggia capricciosa. Sulle sponde orti familiari di diseredati. Mentre fumo la mia sigaretta clandestina, scorgo un vecchio a dorso nudo. Avrà più di settant'anni. Jeans sfibrati calati su una pancia flaccida e bianca, stivali verdi di gomma. Ha la pelle quasi trasparente. E' impegnato nel recupero di un vecchio lavandino di ceramica dal corso d'acqua. Che per fortuna scorre bassa. La schiena è tesa in uno sforzo insostenibile. I muscoli non rispondono, ma noto l'inane vigore sottopelle, che percorre fibre e tendini. Non ce la fa. L'anziano recupera la riva e si fornisce di una logora corda rossa. Con quella allaccia l'oggetto e lo ancora a un palo. Ci riproverà più tardi, quando forse le forze lo sosterranno. Un paio di orti più in là, una donna dall'aspetto patagonico si affatica in una specie di ginnastica. Il corpo è sfatto, come da gravidanze non volute. L'età indefinibile, sotto abiti neri evidentemente trasandati, le nascondono forme generose. Impegna le braccia verso il cielo, assume pose ginniche e inesperte. Ci riprova. Poi smette, di colpo. Il corpo le dà segnali evidenti di sfinimento. Il vecchio va via in bicicletta. La donna resta a piedi, sul ciglio di una strada trafficata. Non so come lascerà quel luogo. Io ho finito di fumare e torno in ufficio a compilare inutili carte.

* Il corpo denotato - L'immagine rappresenta una tavola didascalica di Leonardo da Vinci. Si può osservare il corpo umano nella sua nudità anatomica sotto la pelle. Si notano muscoli, nervi, arterie. Leonardo usava la sua abilità nel disegno in modo puntuale e scientifico. In questo modo il genio, da grande anatomista, studiava e mostrava la natura umana come fece poi Vesalio.
Andrea Vesalio, tavola dei muscoli da De humani corporis fabrica (1543-1555).

1 luglio 2010

PERDERSI

E' estate. La città è un cantiere a cielo aperto. Una viabilità vietata mi obbliga a cambiare le solite strade percorse. Mi perdo, nella ricerca sicura di strade alternative che non trovo. E' una strana sensazione. Non conosco la città e le vie inusuali mi appaiono strade di luoghi stranieri. Mi sento un turista per caso. Vado in direzioni che mi sembra di riconoscere, ma continuo a perdermi. In più, questo inedito itinerario mi ha costretto a un viaggio allargato oltremisura. Alla fine sto in macchina quasi tre ore. Già vengo da fuori.
Sto in un labirinto e la sensazione non dispiace. Il tempo si dilata in una dimensione poco usata e le case rinviano paesaggi ignoti. Le persone bighellonano con i loro cani in quartieri residenziali di poco prezzo. Anche gli animali non sembrano di razza. Edifici senza balconi, con finestre anguste, rinviano alle periferie di certe capitali mittleuropee. Proseguo il mio andare e alla fine ritrovo ambienti noti. Nel frattempo, anche il pensiero è volato in meandri in ombra. Da tempo non pensavo a piccoli dettagli del passato. Nella luce eccessiva di una mattina ormai inoltrata, appaiono invece nitidi come finestre spalancate. Peccato. Mi ci stavo facendo la bocca (detto toscano ad indicare prenderci gusto). Ora la scuola è vicina.

*Labirinto - Maurits Cornelis Escher (Leeuwarden, 17 giugno 1898 – Laren, 27 marzo 1972)

PICCIONI E SAMURAI

Un piccione entra dalla finestra del corridoio che fa da androne alla scuola. Sbatte le ali e si accovaccia in un angolo. Il collega prova a spingerlo fuori dalla finestra. Sbatte le ali invece contro altra finestra chiusa. Si riaccascia in un altro angolo. Provo io. Lo acchiappo con un'abile mossa che non riconosco. Gli rendo la libertà, gettandolo dalla finestra. Vola via felice e raggiunge i suoi compagni sul prato. Probabilmente il gesto è una parte di kata. E' un lampo. E' serendipity. Penso ai samurai dell'antico Giappone. In testa mi balena la katana, la micidiale spada di quella stirpe guerriera. Forse è la luce del sole rifranta sulle ali grigie del volatile. Mi rinvia un luccichio come di metallo. Non so dire.
Nel periodo Tokugawa (1603-1867) si diffuse l'idea che l'anima di un samurai risiedesse nella katana che porta con sé, a seguito dell'influenza dello Zen sul bujutsu. Bujutsu in giapponese designa un insieme di sistemi di combattimento trasmessi a partire dall'epoca feudale giapponese (1185-1625ca). A volte i samurai vengono descritti come se dipendessero esclusivamente dalla loro spada usata per combattere. Così come il piccione dipende esclusivamente dalle sue ali per il volo.
Nella presa il piccione perde qualche piuma. Ricrescerà presto.