Si profila la fine dell'anno scolastico, quindi la necessità di valutare gli allievi. Mi sento sempre a disagio in questo frangente. Già la parola "valutare", dare valore, conferire una certa misura, giudicare alla fine. Si ipotizza un piu' che valuta appunto un meno, ne indaga le mancanze, ne mette in luce i difetti. E' qualcosa che non mi corrisponde. Inoltre dobbiamo giudicare degli adolescenti, organismi tipicamente in crescita e quindi in cambiamento continuo. La valutazione inevitabilmente fotografa e quindi non rende mai il vero.
Mi faccio coinvolgere dalla giostra delle decisioni prese da altri. Non sono abbastanza assertivo per promuovere efficacemnte il mio punto di vista. Mi lascio fare. Fosse per me promuoverei tutti, indistintamente. La sensazione è che la promozione o la bocciatura di un allievo sia la risultante di quanto un collega si sia battuto per lui all'interno di quelle famigerate sessioni definite scrutini.
29 aprile 2010
VIA SMS
I ragazzi vivono appesi ai loro cellulari. E' una protesi, fa parte di loro, un'appendice che li tiene uniti al mondo. Il telefonino è la loro voce nell'universo. Con il cellulare si iniziano timide relazioni via sms, si litiga, si fa pace, ci si fidanza. Poi finisce tutto e si apre la tragedia. Tragedia che dura una media di due giorni e mezzo. Si scrivono messaggi telegrafici, spesso si insultano, ne fanno una questione di orgoglio. Qualcuno tenta di porre paletti, ma il mezzo è pervasivo.
Con i nuovi modelli tutto è possibile. Riprese, fotografie, scaricare musica dal pc e altro che non so. Il cellulo è sempre acceso, sempre attivo. Vivere senza sarebbe impossibile per questa generazione di proletariato digitale. Anche se la sensazione è che lo utilizzino non solo in modo bulimico, ma anche in modo inopportuno. C'è chi si fa ritrarre nel bagno della scuola in atteggiamento provocante, con abiti inesistenti. Non è meraviglioso a vedersi. Lolite di 15 anni che si fingono donne di strada. Per chi o perché poi.
Ok ti mando un file di musica.
Con i nuovi modelli tutto è possibile. Riprese, fotografie, scaricare musica dal pc e altro che non so. Il cellulo è sempre acceso, sempre attivo. Vivere senza sarebbe impossibile per questa generazione di proletariato digitale. Anche se la sensazione è che lo utilizzino non solo in modo bulimico, ma anche in modo inopportuno. C'è chi si fa ritrarre nel bagno della scuola in atteggiamento provocante, con abiti inesistenti. Non è meraviglioso a vedersi. Lolite di 15 anni che si fingono donne di strada. Per chi o perché poi.
Ok ti mando un file di musica.
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27 aprile 2010
BREVI AMORI
D. e S. si sono fidanzati. Lei è di prima, lui di seconda. Si sono messi insieme venerdì e già tutti all’intervallo ne parlavano. I due sembrano davvero presi uno dall’altro, anche se la coppia a un primo sguardo pare improbabile. 1.70 lei 1.50 lui. Un duo sbilenco ma evidentemente ha un suo perché. Lunedì l’idillio prosegue. Mano nella mano, occhi negli occhi, tubano come due colombe. Sarà la primavera. Martedì tutto è finito, si sono mollati. Grande, intenso, ma breve amore durato lo spazio di poco più di 48 ore. E’ così. Tempi veloci, amori che rincorrono il tempo e lo battono. Domani si vedrà. D. piange calde lacrime per tre giorni di seguito. S. fa il duro, ma si capisce che ne soffre. Si barrica dietro un granitico auto convincimento: “Tanto me le scopo tutte quando voglio”. L’importante è crederci.
Gli amici maschi assentono compresi nel ruolo.
Gli amici maschi assentono compresi nel ruolo.
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ZARRO
E’ vestito quasi sempre di nero. Ha gli orecchini rosa shocking e dei piercing di vario colore in numero non facile da stabilire. I capelli variano dalle tonalità del blu elettrico, fino al rosa passando per due o tre sfumature di verde. Taglio sempre cortissimo sul quale riesce, non so come, a farsi scrivere ZARRO. Al collo un rosario nero, una catena da pitbull corta e un girocollo rosa. Ai piedi scarpe da ginnastica con stringhe rosa. E’ sbudinato, dice che deve mettersi a dieta, ma non ci crede davvero. Le ragazze sbavano per lui. Ha un non so che di rassicurante e l’aria da simpatica canaglia che piace anche alle mamme. La mentalità è reazionaria, figlia dell’immigrazione riuscita solo a metà. Nella testa luoghi comuni, in particolare sulle donne. Occorre che siano sottomesse, vanno prese a schiaffoni se non capiscono qual è il loro posto, devono fare quello che lui dice, non devono usare gonne troppo corte né camicette troppo scollate, i capelli è meglio che siano lisci. Gli dico che una ragazza riccia lo inquieterebbe, per questo cerca una rassicurante testolina liscia che magari la vede un po’ come lui. Mi dice: “Profe, mi sa che cià ragione”.
Costituisce una specie di modello non dichiarato, i compagni lo prendono in giro, ma lui glissa. E' molto popolare nella scuola. Molti si sentono lusingati ad essere suoi amici.
Costituisce una specie di modello non dichiarato, i compagni lo prendono in giro, ma lui glissa. E' molto popolare nella scuola. Molti si sentono lusingati ad essere suoi amici.
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CI SI ABITUA A TUTTO
H. ha i capelli ricci, inaspettatamente chiari. Nella scuola hanno pressochè tutte i capelli scuri, lunghi e lisci. L'assistente sociale ci avverte che H. è stata molestata da piccola e che da adolescente ha sviluppato una sessualità bulimica, fatta di eccessi: droghe e alcool, non sempre nell'ordine. A scuola H. è insospettabile, è molto adeguata, si adatta a tutto. C'è qualcosa di magico e di tremendamente tragico in questa quindicenne interrotta, salvata dalla vita da una comunità di suore che arrivano là dove gli adulti hanno sbagliato.
I delitti connessi agli abusi dei bambini sono terribili. Anche solo uno sguardo può rovinare la vita di un piccolo che non sa ancora nulla dell'esistenza, se non quello che sta vivendo. Nessuno dovrebbe guardare un bambino se non con dolcezza e con istinto di protezione. Non ci dovrebbe essere altro.
Invece l'altro c'è e non è mai un gioco. H. si muove, si veste, ride come una qualsiasi ragazza della sua età. Probabilmente è vero che poco a poco, inavvertitamente, ci si abitua a tutto. A volte è la salvezza.
I delitti connessi agli abusi dei bambini sono terribili. Anche solo uno sguardo può rovinare la vita di un piccolo che non sa ancora nulla dell'esistenza, se non quello che sta vivendo. Nessuno dovrebbe guardare un bambino se non con dolcezza e con istinto di protezione. Non ci dovrebbe essere altro.
Invece l'altro c'è e non è mai un gioco. H. si muove, si veste, ride come una qualsiasi ragazza della sua età. Probabilmente è vero che poco a poco, inavvertitamente, ci si abitua a tutto. A volte è la salvezza.
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26 aprile 2010
TRA LA PIOGGIA E IL SOLE
La settimana scorsa sono andato al compleanno di un amico. Ha fatto la festa presso una comunità di recupero per tossici. Mai posto fu più azzeccato. Tutti si sono divertiti. I bambini, su un improbabile prato all’inglese, si sono rincorsi fino a sfinirsi. Un cane del luogo ha sbranato tre palloni per gioco. Le donne sciamavano come api sui fiori, nei loro vestiti da pomeriggio, mostrando una falsa noncuranza. Il buffet era ben assortito e le chiacchiere si incrociavano senza sosta. Le feste mi frastornano. La gente guarda ma in realtà non vede niente. Mi estraneo dai gruppi che si vanno formando e faccio una passeggiata per la tenuta che si trova in una zona di campagna, non lontano dalla città.
Il paesaggio che si osserva intorno porta serenità e quiete. C’è anche una bella sensazione di sicurezza che emana da questo luogo particolare. Le ampie vetrate degli ambienti fanno filtrare una bella luce solare e calda. In fondo tutti cerchiamo un luogo sicuro, che ci dia riparo nelle difficoltà della vita. Cerchiamo tutti una sicurezza che non sappiamo darci da soli. Siamo come panni stesi tra la pioggia e il sole, non siamo mai né completamente asciutti né fradici. Camminiamo sotto una perenne pioggerellina primaverile, che ci bagna ma non ci inzuppa quasi mai.
Il paesaggio che si osserva intorno porta serenità e quiete. C’è anche una bella sensazione di sicurezza che emana da questo luogo particolare. Le ampie vetrate degli ambienti fanno filtrare una bella luce solare e calda. In fondo tutti cerchiamo un luogo sicuro, che ci dia riparo nelle difficoltà della vita. Cerchiamo tutti una sicurezza che non sappiamo darci da soli. Siamo come panni stesi tra la pioggia e il sole, non siamo mai né completamente asciutti né fradici. Camminiamo sotto una perenne pioggerellina primaverile, che ci bagna ma non ci inzuppa quasi mai.
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25 aprile 2010
DOPO GLI ACQUAZZONI IN GENERE I CIELI SONO BELLISSIMI
Mi alzo come il solito alle 5.40. Fuori il cielo è sbavato di viola, dopo un temporale durato tutta la notte. Respiro l’aria fresca dell’alba. Faccio fatica ad aprire i polmoni, la cassa toracica lavora al minimo. Ho bisogno di aria e impegno il respiro. Lascio la finestra aperta così i locali respirano. Ho l’impressione che anche gli ambienti abbiano bisogno di respirare, di cambiare l’aria che li occlude. Penso ai miei studenti, piccoli cuori chiusi in vite troppo pesanti per l’età che vivono. Eppure respirano, a volte al minimo per non invadere lo spazio, per non disturbare. Altre volte i respiri si fanno ravvicinati, inglobano vistosamente aria, in momenti di collera che non sempre si sgonfiano subito. Spesso una rabbia compressa li fa esplodere per minime cose, o perlomeno a me sembrano sciocchezze, impotente a penetrare il loro mondo per davvero.
E poi improvvisa scoppia una risata, come un fuoco d’artificio ne trascina altre e poi altre ancora. E torna il sereno. Tu richiami all’ordine, è il tuo mestiere. In realtà sei sollevato, contento che tutto fluisca di nuovo, nell’ordine di un nuovo giorno lavato dal temporale della notte. D’altronde si sa che dopo gli acquazzoni in genere i cieli sono bellissimi.
E poi improvvisa scoppia una risata, come un fuoco d’artificio ne trascina altre e poi altre ancora. E torna il sereno. Tu richiami all’ordine, è il tuo mestiere. In realtà sei sollevato, contento che tutto fluisca di nuovo, nell’ordine di un nuovo giorno lavato dal temporale della notte. D’altronde si sa che dopo gli acquazzoni in genere i cieli sono bellissimi.
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22 aprile 2010
A VOLTE RITORNANO
F. dopo aver urlato ai quattro venti che non sarebbe mai più tornata "in questa scuola di merda", decide di fare un'ulteriore comparsata. Viene quando vuole. A casa si annoia. Qui ritiene di avere lo spazio per fare quello che vuole e lo fa. Ha 15 anni, lo sguardo sfuggente di chi ha paura e si sente braccato. Bassa per la sua età, pelle ambrata, capelli selvaggiamente riuniti in una specie di coda. Ti guarda con occhi felini e tu capisci che immagina una preda, perlomeno qualcuno da abbattere. E non sai perché, ti manca un tassello. Ci prova nella tua ora e tu ancora una volta porgi la gola. In fondo è il tuo mestiere, ti pagano per questo. Dopo il quotidiano logorio a suon di: "F. vuoi abbassare la voce? Puoi levare le cuffie? Puoi toglierti dal banco e sederti su una sedia?".
F. urlandomi in faccia, la classe pressochè impietrita: "Perchè lei mi da della deficiente e dell'ignorante, lei non porta rispetto RISPETTO, lei sa cos'è il RISPETTO?"
Io: "Sai F. mi pagano per..."
F. "Dove cazzo crede di essere, non mi sfidi, non le conviene sfidarmi"
Io: "Mi spiace, mi pagano per sfidarti tutti i giorni..."
F.: "Lei mi deve mollare, NON MI DEVE STARE ADDOSSO, HA CAPITO, HA CAPITO?"
Io la guardo e la osservo con attenzione. Lei si sente scrutata e si arrabbia ancora di più. Le dico di farsi un giro in direzione e poi, con calma tornare. Le consiglio anche di togliersi il pensiero e di denunciarmi subito, appena esce da scuola, così non ne parliamo più. Mi dice che lo decide lei quando mi denuncerà, che a me non deve interessare. La osservo arrabbiarsi con una collega che, sbagliando nell'intervenire, crede di dovermi soccorrere.
La collega parte con una pippa che mi sto addormentando pure io e si piazza davanti alla porta. Dico a F. che lei non sa accettare la sfida, perché viene a scuola quando vuole, non ci sta dentro e infatti vuole uscire. La ragazza è un toro scatenato, sfonda la collega in posizione di sbarramento ed esce urlando.
Fine dell'atto.
F. urlandomi in faccia, la classe pressochè impietrita: "Perchè lei mi da della deficiente e dell'ignorante, lei non porta rispetto RISPETTO, lei sa cos'è il RISPETTO?"
Io: "Sai F. mi pagano per..."
F. "Dove cazzo crede di essere, non mi sfidi, non le conviene sfidarmi"
Io: "Mi spiace, mi pagano per sfidarti tutti i giorni..."
F.: "Lei mi deve mollare, NON MI DEVE STARE ADDOSSO, HA CAPITO, HA CAPITO?"
Io la guardo e la osservo con attenzione. Lei si sente scrutata e si arrabbia ancora di più. Le dico di farsi un giro in direzione e poi, con calma tornare. Le consiglio anche di togliersi il pensiero e di denunciarmi subito, appena esce da scuola, così non ne parliamo più. Mi dice che lo decide lei quando mi denuncerà, che a me non deve interessare. La osservo arrabbiarsi con una collega che, sbagliando nell'intervenire, crede di dovermi soccorrere.
La collega parte con una pippa che mi sto addormentando pure io e si piazza davanti alla porta. Dico a F. che lei non sa accettare la sfida, perché viene a scuola quando vuole, non ci sta dentro e infatti vuole uscire. La ragazza è un toro scatenato, sfonda la collega in posizione di sbarramento ed esce urlando.
Fine dell'atto.
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21 aprile 2010
I’VE A DREAM
A volte penso che alle scuole professionali come quella in cui insegno manchi un allure, qualcosa che si potrebbe definire “stile”. Uno stile che in parte riuscirebbe ad invertire lo squallore in cui sono immersi gli studenti, uno squallore che è prima di tutto estetico.
Immagino questa scuola nelle Highlands scozzesi. Le ragazze con kilt d’ordinanza, magari un blackberry, tartan blu e verde scuro, camicie bianche e scarpe basse, rigorosamente nere. Una divisa non avvilente per tutte. Poco o niente trucco, nessun profumo pesante, niente trucchi o parrucchi improbabili, piercing in ogni dove o altri accessori di dubbio gusto. Per i ragazzi sarebbe più semplice. Pantaloni neri con riga in tinta dei colori della scuola, camicia bianca e cravatta nera. Facile, portabile, esteticamente gradevole.
Nelle mie classi ho visto rosari al collo, portati come collane, tatuaggi a vista su avambracci, polpacci o piedi. Sirene, farfalle, elfi, fate, nomi di madri, di padri di fidanzati indimenticabili. A volte la scuola sembra più una taverna equivoca in un porto orientale piuttosto che un luogo di trasmissione di sapere. Non importa. Io ci lavoro comunque. Anzi è doveroso essere qui e non nelle Highlands scozzesi.
Immagino questa scuola nelle Highlands scozzesi. Le ragazze con kilt d’ordinanza, magari un blackberry, tartan blu e verde scuro, camicie bianche e scarpe basse, rigorosamente nere. Una divisa non avvilente per tutte. Poco o niente trucco, nessun profumo pesante, niente trucchi o parrucchi improbabili, piercing in ogni dove o altri accessori di dubbio gusto. Per i ragazzi sarebbe più semplice. Pantaloni neri con riga in tinta dei colori della scuola, camicia bianca e cravatta nera. Facile, portabile, esteticamente gradevole.
Nelle mie classi ho visto rosari al collo, portati come collane, tatuaggi a vista su avambracci, polpacci o piedi. Sirene, farfalle, elfi, fate, nomi di madri, di padri di fidanzati indimenticabili. A volte la scuola sembra più una taverna equivoca in un porto orientale piuttosto che un luogo di trasmissione di sapere. Non importa. Io ci lavoro comunque. Anzi è doveroso essere qui e non nelle Highlands scozzesi.
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20 aprile 2010
LE VEDI PASSARE
F. fa il giro delle aule, annunciando che non verrà più a scuola. Tento debolmente di dissuaderla. In realtà, se non viene più fa un regalo a tutti i colleghi e forse anche a me. Però dispiace vedere ragazze, non stupide, sbandate, senza una modalità relazionale praticabile, senza un riferimento. E tu sei impotente. Le vedi passare, chi un mese, chi tre o quattro, chi addirittura arriva fino quasi alla fine dell'anno. Per annunciare che lasciano, mollano, non ci stanno dentro. Tu sospiri e segni un pezzo di fallimento che è tuo, ma anche di chi ha collaborato a far diventare una quindicenne un avanzo di galera, prima ancora di vedere la galera vera. In questa cosa, a costo di sembrare retorici, ci stanno un po' tutti. Ci stanno le famiglie, spezzate, senza un lavoro decente, senza un orizzonte da guardare, senza quella cultura necessaria al vivere con meno scossoni possibili. Ci stanno gli insegnanti ipocriti delle medie inferiori che mandano avanti, senza filtro, senza insegnare, buttando fuori dalle aule chi non segue e regalando licenze inesistenti. Ci stanno i centri di aggregazione giovanile che non esistono, i quartieri periferici abbandonati da qualunque presidio sociale. E certo ci sta la tv, con i suoi grandi fratelli, gli amici di plastica, i soldi facili, il fitness e la bellezza dei corpi a tutti i costi. Ci sta un'immagine sociale della donna italiana tornata indietro di 20 anni. Oggi una ragazza, percepisce che se riuscirà nella vita, lo dovrà innanzitutto a una grande botta di culo, e poi al proprio culo e alle tette che possiede. Trucco e parrucco, ca va sans dire.
Triste, ma così.
Triste, ma così.
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15 aprile 2010
SFIDE E BUGIE
"Non mi tocchi, ha capito NON MI DEVE TOCCARE!!!!" F. mi abbaia in faccia. E' a circa 20 centimetri dal mio naso. L'ho afferrata prima che cadesse da una sedia, rischiando di rompersi l'osso del collo. La tentazione è di lasciare che si facciano pure male. Tu eri lì, non sei riuscito a intervenire in tempo. E' stato un attimo e l'allievo già sanguinava. Ma l'istinto di buon padre di famiglia ha sempre il sopravvento e se assisto a giochi pericolosi intervengo, pur sapendo il rischio che corro.
Ormai gli allievi sanno come metterti nei guai, anzi provano un piacere sottile nel vederti in difficoltà e ti mettono costantemente alla prova. Vediamo chi sbrocca prima, tu o loro. E' una sfida continua, un gioco al massacro. L'agnello sacrificale sei tu. E loro se ne fottono. Via uno avanti un altro. La collega ha assistito impotente in classe a una ragazza che si voleva fare il peircing all'ombelico in diretta, nonostante le compagne le urlassero di non farlo. Interviene T. "Non farlo, mia cugina quando l'ha fatto è svenuta e stava sdraiata...se succede a te?"
M. "Meglio se svengo, così laprof va nei casini".
Dico sempre che insegnare è fantastico. Mento sapendo di mentire.
Ormai gli allievi sanno come metterti nei guai, anzi provano un piacere sottile nel vederti in difficoltà e ti mettono costantemente alla prova. Vediamo chi sbrocca prima, tu o loro. E' una sfida continua, un gioco al massacro. L'agnello sacrificale sei tu. E loro se ne fottono. Via uno avanti un altro. La collega ha assistito impotente in classe a una ragazza che si voleva fare il peircing all'ombelico in diretta, nonostante le compagne le urlassero di non farlo. Interviene T. "Non farlo, mia cugina quando l'ha fatto è svenuta e stava sdraiata...se succede a te?"
M. "Meglio se svengo, così laprof va nei casini".
Dico sempre che insegnare è fantastico. Mento sapendo di mentire.
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PROVE DI SCRUTINIO
Una settimana fa consiglio di classe. E' già tardi, non c'è molto tempo. Abbiamo ricevuto alcuni genitori, che vengono essenzialmente per dire che loro figlio non è capito da nessuno. E' sempre stato un ragazzo particolare. Va saputo prendere. A dire che nessuno dei colleghi e neppure io sappiamo fare il nostro lavoro. Azzardo una risposrta. La madre ringhia. Lascio perdere. Lascio parlare i colleghi.
Il direttore guarda nervosamente l’orologio, mette sul tavolo un esiguo plico di fogli. Sono le fotocopie degli elenchi dei nomi sui registri di classe. Partiamo dalle prime. Il direttore è draconiano: “Tutte quelle che ruttano, fuori”. E incomincia a spuntare i nomi. B., F, R., S, A., N., T., U., C., …alla fine sono 12. Faccio notare che se ferma N. deve bocciare tutta la classe, dato che la ragazza è senz’altro campionessa di rutto libero, ma è anche la migliore per la parte didattica. La salvo in corner. 11.
Sono le 17.40. Andiamo via.
Il direttore guarda nervosamente l’orologio, mette sul tavolo un esiguo plico di fogli. Sono le fotocopie degli elenchi dei nomi sui registri di classe. Partiamo dalle prime. Il direttore è draconiano: “Tutte quelle che ruttano, fuori”. E incomincia a spuntare i nomi. B., F, R., S, A., N., T., U., C., …alla fine sono 12. Faccio notare che se ferma N. deve bocciare tutta la classe, dato che la ragazza è senz’altro campionessa di rutto libero, ma è anche la migliore per la parte didattica. La salvo in corner. 11.
Sono le 17.40. Andiamo via.
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13 aprile 2010
FINGERE
Parlo poco, ascolto ancora meno. Soprattutto in classe, quando quello che i ragazzi dicono l’ho già sentito mille volte da mille ragazzi diversi. Sono stanco, sempre più spesso faccio fatica. Mi stanca alzarmi la mattina, per essere in classe alle 8.00 in punto. Mi stanca il vocio degli alunni, dalla mattina alle 14, senza soluzione di continuità. Mi stancano i colleghi, anche loro stanchi. Mi stancano i discorsi, sempre gli stessi, sugli allievi, che presentano sempre gli stessi problemi.
Però ho imparato a fare finta, così per sopravvivere. Faccio finta di ascoltare e faccio finta di essere pimpante e pieno di energie per dare entusiasmo ai ragazzi che sono sempre apatici. Faccio finta di ascoltare i colleghi e fornisco risposte vaghe, buone per tutte le stagioni. Loro sembrano soddisfatti. Faccio finta di occuparmi degli allievi, che invece cerco di dimenticare in fretta per non portarmi a casa i loro problemi e le loro preoccupazioni.Insomma vivo. D’altronde, avvertiva Moravia, quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede.
Però ho imparato a fare finta, così per sopravvivere. Faccio finta di ascoltare e faccio finta di essere pimpante e pieno di energie per dare entusiasmo ai ragazzi che sono sempre apatici. Faccio finta di ascoltare i colleghi e fornisco risposte vaghe, buone per tutte le stagioni. Loro sembrano soddisfatti. Faccio finta di occuparmi degli allievi, che invece cerco di dimenticare in fretta per non portarmi a casa i loro problemi e le loro preoccupazioni.Insomma vivo. D’altronde, avvertiva Moravia, quando non si è sinceri bisogna fingere, a forza di fingere si finisce per credere; questo è il principio di ogni fede.
CINEFORUM
Faccio vedere Quarto Potere di Orson Welles. Vale la pena a ragazzi che si trastullano esclusivamente con film tipo Amore 14. La classe mugugna, non regge oltre il quarto d’ora. Qualcuno dorme con la testa sul banco, altri si sdraiano su tre sedie o sulla ginocchia di una compagna. Nessuno segue. Sconforto. E’ un film che rivedo volentieri. L’ultima volta saranno stati vent’anni fa. Altri tempi. Passano più di due ore, chiedo il tempo residuo alla collega. Me lo cede volentieri.
Non riesco a fare nessun tipo di riflessione sul film, sull’autore. Vorrei parlare delel tematiche trattate, i media, il potere. Niente di niente.
La classe continua a dormire, io penso ai fatti miei. Mi torna in mente il passato, faccio finta di leggere il libro di testo che nessuno degli allievi ha acquistato. Spesso fornisco fotocopie che poi ritrovo sparse nelle aule i giorni dopo, testimoni del mio passaggio e dei miei patetici tentativi di trasmettere ombre di cultura.
Cambio dell’ora. Altre facce, stesse tristezze. Oggi non è giornata.
Non riesco a fare nessun tipo di riflessione sul film, sull’autore. Vorrei parlare delel tematiche trattate, i media, il potere. Niente di niente.
La classe continua a dormire, io penso ai fatti miei. Mi torna in mente il passato, faccio finta di leggere il libro di testo che nessuno degli allievi ha acquistato. Spesso fornisco fotocopie che poi ritrovo sparse nelle aule i giorni dopo, testimoni del mio passaggio e dei miei patetici tentativi di trasmettere ombre di cultura.
Cambio dell’ora. Altre facce, stesse tristezze. Oggi non è giornata.
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12 aprile 2010
IL TEMPO
Parlo della temporalità, di quanto sia importante situarci nel tempo, tra un ieri che non c’è più e un domani che deve ancora arrivare. Vediamo la linea del tempo. Distribuisco fotocopie. Almeno la preistoria, la comparsa dell’uomo, i dinosauri, le grandi civiltà del passato: gli Egizi, i Maya, i Cinesi, il Giappone, gli Etruschi, i Fenici, i Romani, i Greci.
Prima e dopo Cristo, per l’Europa resta un pilastro fondamentale. Il Sacro Romano Impero con Carlo Magno, il Medioevo, Napoleone, la Rivoluzione francese, le due guerre mondiali.
B. commenta: “Ma che ci importa del passato? Il passato è andato non conta, conta solo il futuro”.
Io: “Dillo a tuo nonno, sarà contento”. Farfuglia qualcosa tipo “FFanculo”. Faccio finta di non sentire.
Passo oltre e parlo di nuovo vagamente di Virgilio.
Prima e dopo Cristo, per l’Europa resta un pilastro fondamentale. Il Sacro Romano Impero con Carlo Magno, il Medioevo, Napoleone, la Rivoluzione francese, le due guerre mondiali.
B. commenta: “Ma che ci importa del passato? Il passato è andato non conta, conta solo il futuro”.
Io: “Dillo a tuo nonno, sarà contento”. Farfuglia qualcosa tipo “FFanculo”. Faccio finta di non sentire.
Passo oltre e parlo di nuovo vagamente di Virgilio.
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9 aprile 2010
NAPOLEONE BONAPARTE
Lavoro sul testo come posso in in una seconda. Introduco brevemente i tre poemi epici della tradizione culturale europea: Eneide, Odissea, Iliade. Distribuisco fotocopie riassuntive. Parlo di Virgilio e il giorno dopo riprendo il discorso proponendo l’incipit, 15 righe. Azzardo una breve lettura di tre versi in latino. Chiedo di chi parla l’Eneide. Nessuno risponde. Dal fondo della classe F. “Eneide, Enea…forse. Però profe mi veniva in mente un articolo che ho letto oggi sui cinesi…sa quando ha letto mi sembrava cinese”.
Le risponde D. “No, parla di Napoleone Bonaparte…che poi non so nemmeno se è esistito. Profe chi era Napoleone? Ma c’è stato davvero?”. Spiego.
Incalza N. “Ma no, D. voleva dire quello che ha scoperto l’America, Marco Polo”. Spiego.
B. chiede chiarimenti: “E invece l’America chi l’ha scoperta? C’entrano qualcosa gli Inca?”. Spiego.
L’ora finisce. Passa il Preside che si inalbera scoprendo una buccia di banana nel cestino della carta da riciclo. Eh.
Le risponde D. “No, parla di Napoleone Bonaparte…che poi non so nemmeno se è esistito. Profe chi era Napoleone? Ma c’è stato davvero?”. Spiego.
Incalza N. “Ma no, D. voleva dire quello che ha scoperto l’America, Marco Polo”. Spiego.
B. chiede chiarimenti: “E invece l’America chi l’ha scoperta? C’entrano qualcosa gli Inca?”. Spiego.
L’ora finisce. Passa il Preside che si inalbera scoprendo una buccia di banana nel cestino della carta da riciclo. Eh.
E QUESTA NOTTE SARA’…
Il computer suona la canzone di Emma di Amici. E questa notte sarà meravigliosa con te… Le ragazze la canticcbiano continuamente, anche se tu tenti ti spiegare qualcosa, il sottofondo è sempre la melodia.
M. è nervosa urla più del solito, dice che litiga continuamente con la sorella che a sua volta è molto nervosa perchè “Sa sta comprando il cane a rate. 800 euro. E son soldi profe”. Eh.
Dico spesso Eh. Mi toglie dall’imbarazzo di dire frasi del tipo “Che cazzo stai dicendo?” o “Che stronzata è?” o ancora “Puttanate”. Ma anche “Ti capisco” o “Certo, hai ragione”. Insomma Eh mi salva spesso e volentieri il culo. Si sa che ilprofe non può dire parolacce, anche se ogni tanto le usa, strategicamente, come un fantoccio agitato davanti alle gazze ingorde sul campo di grano.
E infatti spesso sortiscono l’effetto sperato, sarà che non le dici mai. Straniamento, incredulità, meraviglia. Si fingono offesi, ma vedi che in fondo sono contenti che li capisci, che usi il loro linguaggio, sei sintonizzato. Qualcuno prova il ricatto o la minaccia. “Ma il direttore lo sa che ci insulta? Io lo dico ai miei poi vediamo se mi dice ancora stronzo”. Eh. “A me ehi tu non lo dice, non mi fa il muso duro”. A volte mi diverto a rispondere, così per movimentare la situazione. “Hai ragione, fossi in te andrei in direzione a dire che ilprofe ti ha detto ehi tu. E’ inaccettabile”.
Certo non è meraviglioso, ma aiuta a sopravvivere.
Erano giorni belli che somigliavano ad angeli…
M. è nervosa urla più del solito, dice che litiga continuamente con la sorella che a sua volta è molto nervosa perchè “Sa sta comprando il cane a rate. 800 euro. E son soldi profe”. Eh.
Dico spesso Eh. Mi toglie dall’imbarazzo di dire frasi del tipo “Che cazzo stai dicendo?” o “Che stronzata è?” o ancora “Puttanate”. Ma anche “Ti capisco” o “Certo, hai ragione”. Insomma Eh mi salva spesso e volentieri il culo. Si sa che ilprofe non può dire parolacce, anche se ogni tanto le usa, strategicamente, come un fantoccio agitato davanti alle gazze ingorde sul campo di grano.
E infatti spesso sortiscono l’effetto sperato, sarà che non le dici mai. Straniamento, incredulità, meraviglia. Si fingono offesi, ma vedi che in fondo sono contenti che li capisci, che usi il loro linguaggio, sei sintonizzato. Qualcuno prova il ricatto o la minaccia. “Ma il direttore lo sa che ci insulta? Io lo dico ai miei poi vediamo se mi dice ancora stronzo”. Eh. “A me ehi tu non lo dice, non mi fa il muso duro”. A volte mi diverto a rispondere, così per movimentare la situazione. “Hai ragione, fossi in te andrei in direzione a dire che ilprofe ti ha detto ehi tu. E’ inaccettabile”.
Certo non è meraviglioso, ma aiuta a sopravvivere.
Erano giorni belli che somigliavano ad angeli…
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7 aprile 2010
L’ARIA CHE TIRA
Lavorare in queste scuole a volte ti fa stare male. Dai energie, investi tanto, partecipi. Poi non ce la fai più e lentamente molli. Cerchi di sopravvivere in un’atmosfera tossica che imbratta te e i tuoi sogni. Sono tossici i ragazzi che ti girano intorno vestiti tutti uguali. Stralunati, insonnoliti da notti alcoliche, si trascinano fino a lunedì inoltrato. Vocabolario basic di poco più di cento parole. In pole position insulti reciproci e parolacce a manetta che infiorano la conversazione ogni due parole sensate. Sono tossici i colleghi, senza passioni, senza più voglia come te o anche peggio. C’è chi per tirare avanti risolve con psicofarmaci o psicoterapie. Schivare il burnout è il gioco del giorno. Tutti i docenti nessuno escluso camminano sul ciglio di un precipizio psicologico e emotivo. Basta poco e sei giù. E nemmeno te ne accorgi. E’ tossica l’aria mefitica che si respira nella scuola, dove le ragazze producono sempre gli stessi discorsi sulle stesse cose. Sesso, vestiti, diete, trucco e parrucco. Il quinto discorso è cosa rara. E se c’è, non te lo ricordi, intossicato come sei dalla quotidianità che ti appesantisce palpebre e pensieri.
Sono tossici i programmi che fai, a base di riassuntini, temini, brevi riflessioni su temi banali d’attualità, letturine leggere per invogliare un pubblico che a fatica sa dirti quando è l’ultima volta che ha aperto un libro. E tu che ti sei ammazzato su Dante, Petrarca, Boccaccio e il ‘900 in Italia e sprazzi di letteratura straniera approfondita con passione negli anni, te ne stai lì, proponendo pillole di letteratura inesistenti che ti vergogni a definire “programma”.
Sono tossici i programmi che fai, a base di riassuntini, temini, brevi riflessioni su temi banali d’attualità, letturine leggere per invogliare un pubblico che a fatica sa dirti quando è l’ultima volta che ha aperto un libro. E tu che ti sei ammazzato su Dante, Petrarca, Boccaccio e il ‘900 in Italia e sprazzi di letteratura straniera approfondita con passione negli anni, te ne stai lì, proponendo pillole di letteratura inesistenti che ti vergogni a definire “programma”.
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