6 settembre 2010

PREDICA

Ieri ho incrociato per caso prete amico. E' un personaggio particolare, esce dai canoni dell'immaginario sulle persone consacrate. Piccolo e dalla pelle giallognola. Ampi occhiali quadrati sormontano un viso spigoloso e asciutto. Piegato sotto il peso di vite e dolori non suoi. Soffre di attacchi di panico, anche quando dice messa. Parla poco ed è impegnato in organismi sociali del territorio. Parla di chi va in chiesa e si sente un buon praticante. Nulla di più sbagliato, asserisce con voce bassa e monocorde. In chiesa ci vai perché ti devi sentire il nulla che sei. Occorre sempre considerare se stessi a partire dai propri limiti che, se visti da vicino, sono davvero tanti. Solo così si può aspirare a un certo cambiamento, ad una trasformazionne che ci renderà migliori. Parla di conversione a U. In realtà, il nostro stesso definirci dovrebbe partire dalla riflessione sul nulla che siamo. Ci dovremmo tutti definire a partire dalle nostre mancanze, dai limiti che ognuno di noi ha e che spesso vengono messi da parte facendo finta che non esistono. E' cosa usuale metterci in luce con il nostro abito migliore, quello che ci siamo cuciti su misura a partire da una consapevolezza velleitaria di obiettivi raggiunti. Così ci presentiamo al mondo e ci mettiamo in mostra anche nella nostra vita privata. Con abiti non nostri che ci piacerebbe possedere. Tanto che ci convinciamo che ci appartengono. Invece. Si parta da chi o cosa non siamo, dalle virtù che non riusciamo a fare nostre, da quel nucleo durissimo dove le cose buone vanno costruite e guadagnate. Con il cambiamento umile di ogni giorno. Solo così possiamo diventare migliori. Lo saluto frettolosamente. Oggi sono stato in chiesa senza pensare di volerci andare.

Nessun commento:

Posta un commento