31 maggio 2010

LIBRI

Amo i libri. Già il solo fatto fisico della carta, l'odore, lo spessore delle pagine, le copertine più o meno disegnate. E poi certo il testo. Quell'insensato sforzo che fa mettere a qualcuno i propri pensieri su carta e li consegna in pasto al mondo. Il piacere del testo, si ricordi Roland, è unico e inarrivabile. Il testo inevitabilmente si spande. E allora: film, quadri, poesie, canzoni, fotografie, fumetti, misteriose etichette di acque minerali sconosciute, cartoni animati e libri naturalmente. Sono un bulimico del testo. Non ne ho mai abbastanza e lo cerco ovunque. Anche nelle prove di tema dei miei ragazzi.
Nella mia storia invece è stato un accompagnamento da sempre. Sono nato con tempi e ritmi interiori non proprio allineati a quelli del mondo. Nessuno mi ha dato mai una vera mano a riconnettermi. Un carattere timido e schivo non aiutava. Passavo le mie giornate da bambino a leggere, chiuso nel mio mondo. La madre chiamava per la cena. Non sentivo. Arrivava una zelante sorella, su mandato materno, a scuotermi, tirarmi giù dalle pagine di turno. Non sentivo niente e nessuno mi poteva distrarre dal mio mondo, se non in modi inusuali. La madre insegnava alle scuole medie. Una severità ammantata di sorrisi era la sua cifra scolastica. Pare fosse molto amata da allievi e colleghi. Portava a casa risme di compiti di italiano da correggere, mi allungava qualche foglio e mi diceva: "Sono troppi per me, dammi una mano. Segna in matita gli errori, per favore". E io, per una volta tirato fuori dal mio mondo, eseguivo il compito assegnato. Con cerchi irregolari evidenziavo discordanze aggettivali, pronomi sbagliati, verbi imperfetti. Avevo sì e no sette o otto anni. Non ho un ricordo preciso. Non ero appassionato dell'errore, ma cercavo la frase precisa che non trovavo. Ricordo che aggiungevo specie di onde vicino alle frasi che non mi convincevano, che mi sembravano opache. Usavo il mezzo foglio vuoto che accompagna da sempre i temi in classe su antiche pagine da protocollo. Chiedevo a mia madre che desse un aiuto allo stolto scolaro, che chiarisse quello che voleva dire. Lei riprendeva i fogli, cancellava le mie tracce con una gomma bianca. Proseguiva le correzioni. Mi ringraziava per l'aiuto.
Non ho molti ricordi di mia madre. Ho dei lampi intuitivi, come fotografie, che ogni tanto appaiono per tornare in un oblio personale. Talvolta riemerge un dettaglio. Ricordo una svelta signora in tailleur dai colori marini, un passo forte sul selciato che la portava a scuola. Pochi gioielli di severa fattura artigianale. Buffi cappelli spesso la accompagnavano nelle stagioni più fredde. Ne ricordo uno verde, mi sembrava il cappello di Robin Hood senza la piuma. Una folata di vento lo ruba e lo fa rotolare lungo le scale di un qualche posto. Mia madre ride, divertita. Sorrideva spesso, non rideva quasi mai.

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