Odio la violenza e tutto ciò che è connesso inevitabilmente ad essa. Voci alte, insulti, mani addosso in modo improprio, silenzi oppositivi, sguardi feroci, mancanza assoluta del rispetto del tuo lavoro, scontri verbali o fisici, invasione dello spazio privato. Ma anche lo sguardo stupratore dei ragazzi sulle ragazze, che ridono dandosi della puttana a vicenda e le urla sguaiate preludio di altro che esploderà a breve, senza che tu possa fare nulla per evitarlo. Tutto ciò mi atterrisce, anche se mantengo il mio inossidabile aplomb britannico. Nessuno vede niente. Dentro mi sento devastato. Insomma, ho sbagliato mestiere. Lo credo spesso, davanti al bailamme a cui assisto ogni giorno. Ieri F. e L. si sono messe le mani addosso. All’improvviso sono volati schiaffi, bottigliette di acqua, insulti reciproci. Gli amici le hanno divise. Qualcuno incitava allo scontro. Fuori dalla scuola il duello ha rischiato di continuare. Sono sceso in cortile insieme al preside. Volti concitati, arrossati nel tentativo di contenere l’esplosione di rabbia cieca e furiosa che prende queste giovani adolescenti e non le molla. Non sanno gestire minimamente le emozioni, nessuno ha insegnato loro nemmeno un rudimentale alfabeto emotivo. Forse non lo fa nessun genitore. E questo spiega le difficoltà legate alla sfera delle passioni di tanti teenager. E di tanti adulti. Molti genitori non sanno spiegare i loro sentimenti ai figli né le loro emozioni. Non se ne parla. Punto. “Qual è la consolle che vuoi?”.
F. è stata portata via da un’amica, L. resta con altri amici nel parcheggio antistante la scuola. Schiuma di rabbia, la invito a respirare profondo, a riprendere un ritmo più lungo, a inglobare aria. Lo fa e si rilassa. Non le sembra vero. Ora è rimasta solo la rabbia per l’orgoglio ferito. Tutto è rinviato a domani.
Il preside sconsolato ed io rientriamo.
L’ascensore è guasto. Quattro piani a piedi.
11 maggio 2010
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