24 maggio 2010

SAGGIO DI DANZA

Mi invitano a un saggio di danza. Figlia di amici si esibisce in un teatro cittadino. Nel pomeriggio già sciamano stuoli di mamme, nonne, parenti con improbabili bouquet di fiori recisi. Il caldo fa emanare effluvi marcescenti, prima ancora che inizi lo spettacolo. In un turbinio di paillettes, tutù e sgargianti abiti di scena, le allieve si prodigano nella loro performance assoluta, fatta di niente. Sono affranto. E' come se il posto delle donne fosse solo lì, su quel palcoscenico che è la vita. E ci possono stare solo ballando, emanando grazia e bellezza. Non c'è posto per il difetto, l'incapacità, la bruttura che è del mondo. E' come se una qualche forma oscura di obbligo chiedesse alle femmine di stare sempre in punta di piedi, contro ogni senso umano del dolore, contro ogni idea di libertà del proprio tempo di gioco e di fantasia. Molte di quelle bambine dovrebbero stare in un parco a sporcarsi la mani di terra. E invece sono lì, a mostrare un'allegra fatica che le sfinisce, ma che entra in loro a memento di come sarà la loro vita. Che si abituino da subito, a partire dalla danza, a vivere in salita, in punta di piedi.
Parte Via con me di Conte, ad accompagnare un illogico balletto fatto di assurde piume azzurre.

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