Ho una forte sensibilità. Probabilmente eccessiva per i tempi che viviamo. Contano perlopiù il denaro, il potere e i corpi fulgenti che possono aprire la via al primo o al secondo. Se non vai in battaglia alla conquista di qualcosa non sei nulla. Odio le battaglie. Amo l'ombra e la quiete, quello spazio che si apre quando sei in una dimensione di tranquilla solitudine o con un amico di vecchia data che su di te ha sospeso il giudizio da almento dieci anni. Allora do il meglio di me stesso. Ma questo non è quasi mai possibile. Gli amici stanno lontani e il mondo preme perché tu entri nell'agone quotidiano. E allora via, signori tutti in maschera.
La parte che mi viene meglio è quella del duro, quello su cui fare affidamento nei momenti difficili. E che sa interpretare i volti, da uno sguardo sfuggente o da un'occhiaia di troppo. I ragazzi dicono che li leggo dentro. Percepisco la loro inquitudine, ma anche la sicurezza che qualcuno li può sempre capire. I colleghi chiamano sempre me quando c'è qualche pasticcio che odora vagamente di ingestibilità. Io arrivo con la mia flemma britannica, ascolto le parti, faccio il paciere, rassereno gli animi. Una parola qua,una mano sulla spalla là, una distrazione fatta di niente e il gioco è fatto.
Adoro far tornare il sereno dopo le tempeste.
10 maggio 2010
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