Amo i libri. Già il solo fatto fisico della carta, l'odore, lo spessore delle pagine, le copertine più o meno disegnate. E poi certo il testo. Quell'insensato sforzo che fa mettere a qualcuno i propri pensieri su carta e li consegna in pasto al mondo. Il piacere del testo, si ricordi Roland, è unico e inarrivabile. Il testo inevitabilmente si spande. E allora: film, quadri, poesie, canzoni, fotografie, fumetti, misteriose etichette di acque minerali sconosciute, cartoni animati e libri naturalmente. Sono un bulimico del testo. Non ne ho mai abbastanza e lo cerco ovunque. Anche nelle prove di tema dei miei ragazzi.
Nella mia storia invece è stato un accompagnamento da sempre. Sono nato con tempi e ritmi interiori non proprio allineati a quelli del mondo. Nessuno mi ha dato mai una vera mano a riconnettermi. Un carattere timido e schivo non aiutava. Passavo le mie giornate da bambino a leggere, chiuso nel mio mondo. La madre chiamava per la cena. Non sentivo. Arrivava una zelante sorella, su mandato materno, a scuotermi, tirarmi giù dalle pagine di turno. Non sentivo niente e nessuno mi poteva distrarre dal mio mondo, se non in modi inusuali. La madre insegnava alle scuole medie. Una severità ammantata di sorrisi era la sua cifra scolastica. Pare fosse molto amata da allievi e colleghi. Portava a casa risme di compiti di italiano da correggere, mi allungava qualche foglio e mi diceva: "Sono troppi per me, dammi una mano. Segna in matita gli errori, per favore". E io, per una volta tirato fuori dal mio mondo, eseguivo il compito assegnato. Con cerchi irregolari evidenziavo discordanze aggettivali, pronomi sbagliati, verbi imperfetti. Avevo sì e no sette o otto anni. Non ho un ricordo preciso. Non ero appassionato dell'errore, ma cercavo la frase precisa che non trovavo. Ricordo che aggiungevo specie di onde vicino alle frasi che non mi convincevano, che mi sembravano opache. Usavo il mezzo foglio vuoto che accompagna da sempre i temi in classe su antiche pagine da protocollo. Chiedevo a mia madre che desse un aiuto allo stolto scolaro, che chiarisse quello che voleva dire. Lei riprendeva i fogli, cancellava le mie tracce con una gomma bianca. Proseguiva le correzioni. Mi ringraziava per l'aiuto.
Non ho molti ricordi di mia madre. Ho dei lampi intuitivi, come fotografie, che ogni tanto appaiono per tornare in un oblio personale. Talvolta riemerge un dettaglio. Ricordo una svelta signora in tailleur dai colori marini, un passo forte sul selciato che la portava a scuola. Pochi gioielli di severa fattura artigianale. Buffi cappelli spesso la accompagnavano nelle stagioni più fredde. Ne ricordo uno verde, mi sembrava il cappello di Robin Hood senza la piuma. Una folata di vento lo ruba e lo fa rotolare lungo le scale di un qualche posto. Mia madre ride, divertita. Sorrideva spesso, non rideva quasi mai.
31 maggio 2010
28 maggio 2010
ULTIMI SFORZI
A volte un dettaglio svolta la giornata. E' scoppiato il caldo. Improvviso, temibile. I ragazzi scalpitano, faticano a starci dentro. Odori sudati rincorrono spruzzi di deodoranti dozzinali, a coprire sudori incontrollati. Sempre di adolescenti trattasi. Gli ormoni dettano la loro legge e nulla è possibile cambiare. I programmi sono ormai esauriti. Si fingono ripassi su contenuti dimenticati da tempo. E' in qualche modo uno strano ricominciare da capo. Dai una mano in materie non tue. Rispolveri cognizioni assopite di vaghe lingue straniere e concetti molecolari. Fornisci strategie per un metodo di studio che non convince in fondo nemmeno te. Eppure stai lì, firmi recuperi, dai lezioni individuali ad allievi che ti braccano imprevisti come segugi. E tu non ti sottrai. Apri alle loro richieste e ti lasci dilaniare da morsi non dolorosi, ma impegnativi. Anche i prof alla fine sono esausti. Fumo una sigaretta all'intervallo. Aiuta falsamente ad allentare tensioni costruite altrove.
Accompagno gli allievi fumatori nel parcheggio antistante la scuola. Una pavimentazione autobloccante fa crescere stentati steli d'erbe cattive. Idea di aiuole, pretesto per un parcheggio pieno di macchine già di buonora. Tra due mattoni scorgo una pianta solitaria di camomilla. E' più morta che viva. Ne colgo un rametto. I fiori odorano ancora.
Risaliamo per la prossima ora.
Accompagno gli allievi fumatori nel parcheggio antistante la scuola. Una pavimentazione autobloccante fa crescere stentati steli d'erbe cattive. Idea di aiuole, pretesto per un parcheggio pieno di macchine già di buonora. Tra due mattoni scorgo una pianta solitaria di camomilla. E' più morta che viva. Ne colgo un rametto. I fiori odorano ancora.
Risaliamo per la prossima ora.
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27 maggio 2010
CONTATTI
Intervallo. Sorveglio i corridoi per un mandato che farei volentieri a meno di mettere in pratica. Sguardi inquieti di chi vorrebbe fumare, ma è costretto al chiuso. Nello spazio antistante le aule, comode poltrone invitano a un impossibile riposo. Alcuni ragazzi si svaccano in quel luogo e passano lì il loro piccolo tempo di libertà che li separa dalla prossima ora. Nel gruppo vedo T. con il volto visibilmente gonfio. Gli chiedo che c'è. Dice che ha avuto uno scontro. Gli chiedo se era più di uno. Mi dice che le ha prese da due che lo hanno attaccato insieme. Mi sfugge un "bastardi". Gli chiedo quando è successo, lui mi dice ieri sera. I compagni stupiscono alla mia esclamazione detta tra i denti. Vado via, ma prima dico a T. di non muoversi di lì. Prelevo del ghiaccio dal frigo della sala professori. Avvolgo un sacchetto di plastica pieno di cubi di ghiaccio in una quantità eccessiva di scottex. Creo una rudimentale borsa per il ghiaccio. Torno da T. e gli spiego come metterla sull'occhio e lo zigomo che ancora pulsano. Stranamente docile, obbedisce. A bassa voce, su richiesta dei compagni racconta. Era in giro con la tipa e due giovani stranieri li hanno avvicinati. Hanno allungato le mani sul culo della ragazza e lui è partito alla difesa della sua donna. Le ha prese. Lo rifarebbe. I compagni lo sostengono, dicono che ha fatto bene. Io non dico nulla. Gli aggiusto la borsa sull'occhio. Gli dico di tenerla lì il più possibile. Parlo a lui e a quelli che sono lì. Dico che quando capitano contatti di questo genere, è bene usare subito il ghiaccio che aiuta a far riassorbire prima la botta. L'importante è che non ci siano abrasioni.
L'intervallo è esaurito. Tutti in aula.
Dico a T. di tenere il ghiaccio finchè riesce a sopportarlo. Non mi ringrazia e va via con il ghiaccio premuto troppo forte sulla faccia.
L'intervallo è esaurito. Tutti in aula.
Dico a T. di tenere il ghiaccio finchè riesce a sopportarlo. Non mi ringrazia e va via con il ghiaccio premuto troppo forte sulla faccia.
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26 maggio 2010
CI SONO GIORNI
Ci sono giorni in cui nulla è come dovrebbe essere. Comincia dalla notte e senti arrivare il buio che ti attende in giornata. Non dormi e se ti assopisci hai continui risvegli che ti accompagnano fino all'alba. Poi ti alzi con un corpo più pesante del necessario. Fai gli stessi gesti di sempre, compi i riti essenziali per renderti presentabile al mondo. Infine sei fuori, nella strada, come sempre. Sono giorni in cui ti senti esposto, vulnerabile più del solito. Sai che basta un'inezia perché tu possa rovinare le relazioni con gli altri; con parole certamente sbagliate, magari dette a un incolpevole amico. La fatica è tanta, sai che le possibilità di fare del male alle persone che ti sono vicine è altissima. Ti senti un animale pericoloso. Pur non nella tua natura, improvvisamente sei pronto invece ad attaccare, aggredire e colpire il primo che ti guarda in quel giorno sbagliato. Non ti concedi nessun perdono e la stanchezza dello sforzo della non belligeranza rischia di peggiorare le cose. Ci sono giorni in cui sarebbe meglio blindarsi in casa, con una bottiglia in una mano, un libro nell'altra e al culo il mondo. Che è bene resti fuori. Per una specie di necessaria protezione nei confronti di tutti quelli che ti conoscono, di chi potresti incontrare o che ancora non sai chi possa essere. Senz'altro non gli daresti mezza occasione.
Se dormo, riprendo me stesso e il mio respiro. Sono di nuovo qualcuno a cui, volendo, ci si può avvicinare. Anche un disco aiuta.
Se dormo, riprendo me stesso e il mio respiro. Sono di nuovo qualcuno a cui, volendo, ci si può avvicinare. Anche un disco aiuta.
25 maggio 2010
NO ALFA MALE
Non sono un cacciatore, nè un capobranco. Non indico le strade, non governo il gruppo. Amo le femmine, ma non aggredisco per la conquista. Non lotto per nessun obiettivo di supremazia, non spargo il seme dove capita. Non segno il territorio, nè introduco barriere per difenderlo dagli intrusi. Certo, le donne le guardo, ma è un occhio stanco e particolare quello che mi appartiene. Amo il gesto, le giunture, il dettaglio. In particolare, osservo le caviglie e i polsi. Mi piacciono quei cenni leggeri che solo le donne sanno avere. Sono un ladro di sguardi furtivi. Non amo che mi si veda mentre osservo. Il mio occhio non si ferma più del dovuto. Sono già altrove. Non ingaggio lotte per vedere chi ce l'ha più lungo. Non esibisco il mio lavoro, non me ne vanto, non faccio pesare la mia cultura nella seduzione. Disprezzo quelli della mia specie che con lo sguardo spogliano, indagano e come fosse dovuto, insistono nella richiesta visiva. Detesto lo sguardo arabo, per intenderci, che è anche molto italico, con il presuntuoso alibi che le donne amano essere guardate in quel modo.
Non lo penso. Credo che sia uno stupro non perseguibile. Nessuno dovrebbe guardare un essere umano come una preda da cacciare, un potenziale trofeo da esibire, una conquista obbligata. Forse non sono abbastanza uomo. Ma sono io.
Non lo penso. Credo che sia uno stupro non perseguibile. Nessuno dovrebbe guardare un essere umano come una preda da cacciare, un potenziale trofeo da esibire, una conquista obbligata. Forse non sono abbastanza uomo. Ma sono io.
SPIEGARE E CAPIRE
Qualche volta si portano gli allievi in aula informatica. Brevi ricerche, qualche approfondimento, la visione di mondi diversi. E' difficile tenerli fuori da Faccedalibro e quindi verso la fine dell'ora in genere si sbraga. In un tempo minimo, partono tracce musicali di cantanti sentimentali in dialetti locali per me incomprensibili. Gli allievi conoscono i testi a memoria, seguono le melodie, si rimandano le seconde voci.
D. non mi parla da circa una settimana. Mi è oscuro il motivo. Le compagne riferiscono che è arrabbiata con me. Sondo il terreno più volte. Muro. Le dico che mi piacerebbe sapere cosa è successo, così, per andare in vacanza tranquillo e sapere che lei sta bene. Muro 2. Mi turba non conoscere le cause delle difficoltà relazionali dei miei ragazzi. Se sono parte in causa, tendo a chiarire, a sciogliere, disambiguare il più possibile per non creare equivoci. Loro invece vivono di fraintendimenti. Per loro è una specie di codice. Non sempre è facile spiegare.
Certo nemmeno capire. I loro silenzi, le assenze, le lacrime, a volte persino i sorrisi. E quando credo di aver capito, un loro gesto involontario mi restituisce il dubbio.
D. non mi parla da circa una settimana. Mi è oscuro il motivo. Le compagne riferiscono che è arrabbiata con me. Sondo il terreno più volte. Muro. Le dico che mi piacerebbe sapere cosa è successo, così, per andare in vacanza tranquillo e sapere che lei sta bene. Muro 2. Mi turba non conoscere le cause delle difficoltà relazionali dei miei ragazzi. Se sono parte in causa, tendo a chiarire, a sciogliere, disambiguare il più possibile per non creare equivoci. Loro invece vivono di fraintendimenti. Per loro è una specie di codice. Non sempre è facile spiegare.
Certo nemmeno capire. I loro silenzi, le assenze, le lacrime, a volte persino i sorrisi. E quando credo di aver capito, un loro gesto involontario mi restituisce il dubbio.
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24 maggio 2010
SCENE URBANE
Ho appuntamento con un amico all'uscita di una palestra di Pilates. E' nel centro cittadino. Come le periferie, anche le zone ricche delle città si assomigliano tutte. La palestra ha vetrine offuscate sulla strada. Si intravvedono infernali macchinari per la cura del corpo. Ho un brivido. Sono in anticipo e bighellono nel quartiere. Platani potati da mani sapienti, rovine antiche in recinzioni accurate, silenzio ovattato di una viabilità ridotta al minimo. Si apre improvvisa un'area verde, con giochi colorati per bambini agiati. Mamme costose guidano con sicurezza passeggini dal design moderno. I bambini sono bellissimi. Nessuno sorride. Le donne catturano il mio sguardo. Molte in jeans, sandali e scarpe basse di note marche straniere, a inseguire uno stile pauperistico che le fa fantasticare essere parte del mondo comune. Le immagino asserragliate in appartamenti e loft che non lasceranno mai, e che saranno pronte a rivendicare col sangue in caso di matrimoni fallimentari. Compaiono alla spicciolata anche alcuni mariti, produttori dispotici di redditi con molti zeri. A tratti appaiono donne di colore che pascolano con rassegnata pazienza figli di altri. Sui loro volti passa la nostalgia dei propri figli, lasciati in una terra lontana, per curare una prole che non appartiene. Sono donne abituate a tutto, lo capisci dal loro passo. Hanno portato otri d'acqua sul capo, hanno partorito con dolore, hanno soddisfatto mariti spietati. Alla fine sono partite per procurare denaro in posti sconosciuti. Possiedono tutte un irragionevole passo da regine. Anche loro non sorridono.
Il pensiero è intrusivo, ma viene spesso. Va ai miei ragazzi, quelli delle periferie. Posti come questo non sanno nemmeno che esistono. E c'è una dolorosa similitudine tra questo spazio e i luoghi da cui provengono, da cui non usciranno mai. Proprio come queste madri lussuose non abbandoneranno mai le loro rassicuranti dimore. Il medioevo è passato, ma la mobilità sociale resta per molti una fantasticheria irrealizzabile. Lì nasci e lì muori, senza alcuna possibilità di scelta. Molti dei miei allievi si raccontano che dal loro quartiere non vogliono andarsene. Io me ne guardo bene dal dire loro che non potrebbero, nemmeno se lo volessero. In ogni caso rassicura osservare come la povertà assuma diverse forme.
Il pensiero è intrusivo, ma viene spesso. Va ai miei ragazzi, quelli delle periferie. Posti come questo non sanno nemmeno che esistono. E c'è una dolorosa similitudine tra questo spazio e i luoghi da cui provengono, da cui non usciranno mai. Proprio come queste madri lussuose non abbandoneranno mai le loro rassicuranti dimore. Il medioevo è passato, ma la mobilità sociale resta per molti una fantasticheria irrealizzabile. Lì nasci e lì muori, senza alcuna possibilità di scelta. Molti dei miei allievi si raccontano che dal loro quartiere non vogliono andarsene. Io me ne guardo bene dal dire loro che non potrebbero, nemmeno se lo volessero. In ogni caso rassicura osservare come la povertà assuma diverse forme.
SAGGIO DI DANZA
Mi invitano a un saggio di danza. Figlia di amici si esibisce in un teatro cittadino. Nel pomeriggio già sciamano stuoli di mamme, nonne, parenti con improbabili bouquet di fiori recisi. Il caldo fa emanare effluvi marcescenti, prima ancora che inizi lo spettacolo. In un turbinio di paillettes, tutù e sgargianti abiti di scena, le allieve si prodigano nella loro performance assoluta, fatta di niente. Sono affranto. E' come se il posto delle donne fosse solo lì, su quel palcoscenico che è la vita. E ci possono stare solo ballando, emanando grazia e bellezza. Non c'è posto per il difetto, l'incapacità, la bruttura che è del mondo. E' come se una qualche forma oscura di obbligo chiedesse alle femmine di stare sempre in punta di piedi, contro ogni senso umano del dolore, contro ogni idea di libertà del proprio tempo di gioco e di fantasia. Molte di quelle bambine dovrebbero stare in un parco a sporcarsi la mani di terra. E invece sono lì, a mostrare un'allegra fatica che le sfinisce, ma che entra in loro a memento di come sarà la loro vita. Che si abituino da subito, a partire dalla danza, a vivere in salita, in punta di piedi.
Parte Via con me di Conte, ad accompagnare un illogico balletto fatto di assurde piume azzurre.
Parte Via con me di Conte, ad accompagnare un illogico balletto fatto di assurde piume azzurre.
21 maggio 2010
FIORI DAL PANTANO
Leggo De Luca in classe. Molti ridono sguaiatamente, qualcuno accenna a una colonna sonora di accompagnamento. Dopo circa mezzora di traccheggio, riesco a far leggere Valore a qualche alunno. E' la mia strategia. Quando percepisco che non è aria di lezione, lascio la lenza morbida, non intervengo. Lascio dire e fare, nei limiti della tollerabilità. Poi inizio a distribuire fotocopie. Lascio la lenza. Poi chiedo di leggere. Lascio la lenza. Poi chiedo per la settima volta silenzio. Lascio di nuovo la lenza. Mostro la pazienza del ragno. In realtà di pazienza non ne ho, sono insofferente di natura, il che può spiegare alcuni dei miei fallimenti.
La chiamo la strategia di Santiago, il vecchio pescatore di "Il vecchio e il mare". Lasciare correre il pesce e adagio tirarlo verso la barca, a poco a poco, inavvertitamente. Quasi costringerlo a venire lui da me.
Così faccio con i miei ragazzi. Quando non è giornata, passo l'ora a fare nulla, a chiacchierare con qualcuno che mostra un'idea di curiosità. Divago sui fatti della vita. Aspetto che mi chiedano di fare qualcosa. Basta un indizio e io comincio. Sono poche le lezioni in cui non faccio davvero nulla. Perlopiù cerco di fornire frammenti di conoscenza che li possano accompagnare nella vita. Non sempre riesco. Ma so che ci provo sempre e sono sereno.
Finalmente qualcuno legge, chiedo di leggere ancora e ancora una terza e quarta volta. Alla fine leggo io. Chiedo 10 minuti di riflessione su quanto è stato letto. C'è chi piange.
Tutti prima o poi dobbiamo misurarci con quel marlin. A volte è dentro di noi.
La chiamo la strategia di Santiago, il vecchio pescatore di "Il vecchio e il mare". Lasciare correre il pesce e adagio tirarlo verso la barca, a poco a poco, inavvertitamente. Quasi costringerlo a venire lui da me.
Così faccio con i miei ragazzi. Quando non è giornata, passo l'ora a fare nulla, a chiacchierare con qualcuno che mostra un'idea di curiosità. Divago sui fatti della vita. Aspetto che mi chiedano di fare qualcosa. Basta un indizio e io comincio. Sono poche le lezioni in cui non faccio davvero nulla. Perlopiù cerco di fornire frammenti di conoscenza che li possano accompagnare nella vita. Non sempre riesco. Ma so che ci provo sempre e sono sereno.
Finalmente qualcuno legge, chiedo di leggere ancora e ancora una terza e quarta volta. Alla fine leggo io. Chiedo 10 minuti di riflessione su quanto è stato letto. C'è chi piange.
Tutti prima o poi dobbiamo misurarci con quel marlin. A volte è dentro di noi.
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20 maggio 2010
VALORE
Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finchè dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido,
chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord,
qual'è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato,qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare
e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
Erri De Luca - Opera sull'acqua, Einaudi, 2002
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finchè dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido,
chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord,
qual'è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato,qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare
e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
Erri De Luca - Opera sull'acqua, Einaudi, 2002
19 maggio 2010
SALLY TI SCOPA SOLO QUANDO E' SBRONZA
Arrivo in macchina a scuola. Sul tragitto il mio sguardo è attirato da un cartellone scritto a mano, ben in vista legato a un semaforo. La scritta recita "Sally ti scopa solo quando è sbronza". Immagino Sally. Qualcosa di sottile, a cui basta un bicchiere forse per non essere più lei. Le mente corre alle mie allieve, invischiate in amori improbabili. I racconti amorosi riempiono i loro discorsi, non c'è spazio per altro. E' come se funzionassero solo spinte da una preoccupazione affettiva che le lega al maschio di turno. Non si immaginano senza un uomo accanto. Non hanno un centro, una sostanza propria che fornisca loro il senso del proprio essere. A prescindere. Tutto ruota intorno al fidanzato che normalmente si rivela uno stronzo con i fiocchi. E loro, incapaci a distinguere emozioni e sentimenti, sono sempre lì, disponibili, accettanti, accoglienti. Ho provato a spiegare come un conto sia il sentimento d'amore, un altro capire se quell'uomo fa per te, vuole il tuo bene. Spesso le cose sono separate da una distanza incolmabile. Non dovrebbero infilarsi in relazioni dannose per la loro crescita, dovrebbero alzare lo sguardo e capire il valore prezioso che rappresentano. Non riesco a spiegarlo. Le parole cocciano un muro di consuetudine al sacrificio di sè, alla rassegnazione, a volte a una rabbia frustrata. Ogni tanto rispiego, con immagini diverse, parole nuove. Qualcuna capisce, mi fa cenni di comprensione, forse profonda. In genere è la non fidanzata di turno.
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TEMA CHIMERA
Ho due ore in prima. Entro con finto entusiasmo e scrivo alla lavagna tre banali tracce di svolgimento per un tema. L'idea è di salvare più culi possibili. Non ambisco a bocciare nessuno. Capisco che l'aria è carica. D. e G. sono particolarmente irrequiete. Si aggiunge B. che inizia ad inveire e urlare ragioni a me sconosciute. E' un attimo. Dal nulla si definiscono in meno di tre minuti due clan, agguerritissimi e incazzatissimi uno contro l'altro. Non capisco l'oggetto della contesa, ma richiamo al tema, all'importanza di recuperare i voti precedenti. Più di metà classe ne avrebbe bisogno. Voce nel deserto. Le ragazze urlano, si caricano una con l'altra con frasi irripetibili. A un certo punto, devo frapporrmi tra due che si minacciano fisicamente. Obbligo a sedersi. Il frastuono proveniente dalla mia aula è infernale, tutti nella scuola stanno sentendo. Il montare della questione si fa incontenibnile, nessuno svolge il tema. Chiamo la collega a cui piace intervenire in casi come questi. Nessun effetto positivo. La rabbia sale. Sopraggiunge il preside che fa un sentito sermone alla classe sulla necessità di eseguire il compito richiesto. Parole al vento. Infine spedisco le più accese in aule con colleghi con l'ora libera. Sparpaglio il gruppo e riprendo la situazione in mano.
Sono passate due ore. Il tema non è stato svolto da nessuno. Il preside nel sentito sermone ha detto che non si potrà farlo in altro momento e fioccheranno gli nc. Io trasgredisco e dico che vedremo la prossima lezione. Dentro di me so già che darò un'altra chance.
Sono passate due ore. Il tema non è stato svolto da nessuno. Il preside nel sentito sermone ha detto che non si potrà farlo in altro momento e fioccheranno gli nc. Io trasgredisco e dico che vedremo la prossima lezione. Dentro di me so già che darò un'altra chance.
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18 maggio 2010
COUNT DOWN
Mancano pochi giorni alla fine dell'anno scolastico. L'atmosfera è carica di tensione, è esplosiva per tutti. Gli alunni hanno le ultime chances per correggere insufficienze incolmabili, i docenti non ce la fanno più, usurati da un anno vissuto pericolosamente. Basta un nonnulla ed è la rissa, verbale o fisica. Tra colleghi ci diciamo di tenere alta la guardia, ma comunque le relazioni difficili ci sfuggono di mano. A volte penso la scuola come un organismo integrato, dove le tensioni di ognuno cercano un qualunque posto dove scoppiare. Magari sono le mie tensioni che inavvertitamente passo alla classe che le metabolizza a modo proprio. In genere, con violenza. Non sono bei momenti, sicuramente c'è molta energia, vita che scorre e che chiede i suoi prezzi.
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DOLORI
Il dolore assume diverse forme. Passa sui volti e nei cuori di queste esistenze ferite senza che nessuno se ne accorga. I ragazzi nemmeno si rendono conto, ma il dolore impasta le loro vite, le scarnifica senza riuscire a dare loro un senso. E' dolore il fidanzato che se ne va con un'altra, che picchia, rompe setti nasali. Ma viene insensatamente riaccolto. E' dolore la figlia che non sorride mai, perché non ha elaborato il lutto per la perdita del padre. Vedi il dolore disarginato della madre che in colloquio ti racconta come la figlia in una sera di pioggia abbia preso la bici e sia corsa al cimitero per vedere dalle inferiate chiuse la tomba del padre, almeno da lontano. Le lacrime le scorrono incontenibili mentre parla. Sai che anche lei non ha elaborato la perdita del marito. Percepisci l'amore che li legava. E' dolore tenuto a bada da forze sconosciute quello di una collega che si sta separando dal compagno, ma che nonostante tutto è in aula, fa lezione e sorregge i ragazzi che piangono per le loro tragedie quotidiane: una borsa sottratta, uno sguardo sbagliato, una parola di troppo.
Il dolore è in noi, intorno a noi, ci passa accanto ogni momento, ci attraversa. Non abbiamo risposte, ma siamo qui.
Il dolore è in noi, intorno a noi, ci passa accanto ogni momento, ci attraversa. Non abbiamo risposte, ma siamo qui.
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11 maggio 2010
V FOR VENDETTA
Odio la violenza e tutto ciò che è connesso inevitabilmente ad essa. Voci alte, insulti, mani addosso in modo improprio, silenzi oppositivi, sguardi feroci, mancanza assoluta del rispetto del tuo lavoro, scontri verbali o fisici, invasione dello spazio privato. Ma anche lo sguardo stupratore dei ragazzi sulle ragazze, che ridono dandosi della puttana a vicenda e le urla sguaiate preludio di altro che esploderà a breve, senza che tu possa fare nulla per evitarlo. Tutto ciò mi atterrisce, anche se mantengo il mio inossidabile aplomb britannico. Nessuno vede niente. Dentro mi sento devastato. Insomma, ho sbagliato mestiere. Lo credo spesso, davanti al bailamme a cui assisto ogni giorno. Ieri F. e L. si sono messe le mani addosso. All’improvviso sono volati schiaffi, bottigliette di acqua, insulti reciproci. Gli amici le hanno divise. Qualcuno incitava allo scontro. Fuori dalla scuola il duello ha rischiato di continuare. Sono sceso in cortile insieme al preside. Volti concitati, arrossati nel tentativo di contenere l’esplosione di rabbia cieca e furiosa che prende queste giovani adolescenti e non le molla. Non sanno gestire minimamente le emozioni, nessuno ha insegnato loro nemmeno un rudimentale alfabeto emotivo. Forse non lo fa nessun genitore. E questo spiega le difficoltà legate alla sfera delle passioni di tanti teenager. E di tanti adulti. Molti genitori non sanno spiegare i loro sentimenti ai figli né le loro emozioni. Non se ne parla. Punto. “Qual è la consolle che vuoi?”.
F. è stata portata via da un’amica, L. resta con altri amici nel parcheggio antistante la scuola. Schiuma di rabbia, la invito a respirare profondo, a riprendere un ritmo più lungo, a inglobare aria. Lo fa e si rilassa. Non le sembra vero. Ora è rimasta solo la rabbia per l’orgoglio ferito. Tutto è rinviato a domani.
Il preside sconsolato ed io rientriamo.
L’ascensore è guasto. Quattro piani a piedi.
F. è stata portata via da un’amica, L. resta con altri amici nel parcheggio antistante la scuola. Schiuma di rabbia, la invito a respirare profondo, a riprendere un ritmo più lungo, a inglobare aria. Lo fa e si rilassa. Non le sembra vero. Ora è rimasta solo la rabbia per l’orgoglio ferito. Tutto è rinviato a domani.
Il preside sconsolato ed io rientriamo.
L’ascensore è guasto. Quattro piani a piedi.
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10 maggio 2010
MAIEUTICA IN PILLOLE
Ho una forte sensibilità. Probabilmente eccessiva per i tempi che viviamo. Contano perlopiù il denaro, il potere e i corpi fulgenti che possono aprire la via al primo o al secondo. Se non vai in battaglia alla conquista di qualcosa non sei nulla. Odio le battaglie. Amo l'ombra e la quiete, quello spazio che si apre quando sei in una dimensione di tranquilla solitudine o con un amico di vecchia data che su di te ha sospeso il giudizio da almento dieci anni. Allora do il meglio di me stesso. Ma questo non è quasi mai possibile. Gli amici stanno lontani e il mondo preme perché tu entri nell'agone quotidiano. E allora via, signori tutti in maschera.
La parte che mi viene meglio è quella del duro, quello su cui fare affidamento nei momenti difficili. E che sa interpretare i volti, da uno sguardo sfuggente o da un'occhiaia di troppo. I ragazzi dicono che li leggo dentro. Percepisco la loro inquitudine, ma anche la sicurezza che qualcuno li può sempre capire. I colleghi chiamano sempre me quando c'è qualche pasticcio che odora vagamente di ingestibilità. Io arrivo con la mia flemma britannica, ascolto le parti, faccio il paciere, rassereno gli animi. Una parola qua,una mano sulla spalla là, una distrazione fatta di niente e il gioco è fatto.
Adoro far tornare il sereno dopo le tempeste.
La parte che mi viene meglio è quella del duro, quello su cui fare affidamento nei momenti difficili. E che sa interpretare i volti, da uno sguardo sfuggente o da un'occhiaia di troppo. I ragazzi dicono che li leggo dentro. Percepisco la loro inquitudine, ma anche la sicurezza che qualcuno li può sempre capire. I colleghi chiamano sempre me quando c'è qualche pasticcio che odora vagamente di ingestibilità. Io arrivo con la mia flemma britannica, ascolto le parti, faccio il paciere, rassereno gli animi. Una parola qua,una mano sulla spalla là, una distrazione fatta di niente e il gioco è fatto.
Adoro far tornare il sereno dopo le tempeste.
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5 maggio 2010
DUBBI
Piove. Ininterrottamente ormai da giorni. S. arriva a scuola in canotta tipo cagi. Gli dico di provare a dare una definizione di “decoro”. Mi dice che lui si veste come vuole, che non è intenzionato a cambiare il suo modo di abbigliarsi. Fuori ci sono 10 gradi. Gli chiedo cosa farà tra poco, visto che l’estate è alle porte. Forse verrà in mutande. B. mangia cioccolata in continuazione. Mi chiede cosa succede a mangiarne troppa. Non ho la risposta. Gli dico comunque di stare attento che non si sciolga nelle tasche dei pantaloni o nello zaino. Mi ringrazia per il suggerimento. A volte ho l’impressione di nuotare in un acquario di pesci esotici, ognuno con abitudini e stili di vita diversi. A me è richiesto di conoscere tutte le specie. Ma sono ignorante, mi manca una parte del manuale per l’uso. Ho il dubbio che non esista.
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4 maggio 2010
EROI DI OGGI
A volte ho la sensazione di assistere ad un'adunanza di eroi. Gli eroi inconsapevoli sono i miei alunni. Hanno attraversato tragedie familiari, abbandoni di ogni tipo. Spesso sono stati maltrattati, non curati, isolati dalla stessa famiglia che invece doveva proteggerli. A 15 o 16 anni hanno vissuto infinite vite, fatte spesso di disperazione, carcere, morti di genitori, padri e madri cancellati dal tempo della loro adolescenza selvaggia. Eppure sono qui. Dopo il loro breve ma intenso viaggio per percorsi di cui a stento hanno capito gli arrivi e le partenze, sono qui. Qualcuno lo vedi fuori dalla scuola già alle 7.15. Le lezioni iniziano alle 8. Con testardaggine e cocciutaggine estrema si presentano in aula senza un perché, senza un motivo apparente. Anzi ti fanno capire in tutti i modi che a loro non importa nulla di imparare ed essere lì. Ci sono perché devono. Eppure sono lì e non mancano nemmeno un giorno. Non oso immaginare cosa li spinga a scuola pur di non rimanere a casa. Per qualcuno la casa è la scuola.
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3 maggio 2010
CORPI
A un certo punto il corpo non conta più. Non è più bello, atletico, tonico. I muscoli sono morbidi, la pelle s’inflaccida e le rughe non danno tregua. Anche gli occhi non splendono più, se non sotto la spinta di eccesso alcolico. Quando ti muovi scricchioli e solo l’idea di un gesto atletico ti commuove in ricordo di tempi andati. I ragazzi, loro, no. Vivono l’eterna performance dei loro giovani corpi come immutabile. Si nutrono di junk food “che tanto non ingrasso”. Tra dieci anni li vedi sbudinati, ma non glielo dici. Anzi a volte sì, ma le parole usate non sortiscono nessun effetto.
Non fanno sport di alcun genere, non camminano nemmeno in trekking leggero, non fanno escursioni, né a piedi né usano la bici. Il mezzo di elezione è il motorino. Non fanno un passo senza.
Mi chiedo per quanto terrà il mio corpo. E mentre me lo chiedo, qualcosa sta già franando.
Non fanno sport di alcun genere, non camminano nemmeno in trekking leggero, non fanno escursioni, né a piedi né usano la bici. Il mezzo di elezione è il motorino. Non fanno un passo senza.
Mi chiedo per quanto terrà il mio corpo. E mentre me lo chiedo, qualcosa sta già franando.
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