Odore di vacanze pasquali. Euforia a stento contenuta nelle classi e nei corridoi. Penso a Grigori Perelman il monacale genio russo della matematica che ha dimostrato la congettura di Poincaré. Sta riflettendo se accettare o meno un premio da un milione di dollari messo in palio dall'Istituto di matematica Clay di Cambridge, negli Usa. Certo sono pensieri. I miei allievi venderebbero la madre per molto meno. C'è l'idea che i soldi risolvano, fanno svoltare e non ti devi più girare indietro a vedere da dove vieni. E' fatta. Ci sarà invece un perché questo oscuro scienziato traccheggia, ha un dubbio, tentenna davanti a tanto bendidio. E vive di rape e broccoli.
Dichiara di essere contento ad aver risolto l'enigma matematico a cui ha lavorato per molto tempo. Poi ha messo in rete in forma sintetica i risultati delle sue analisi. Altri studiosi hanno riempito 2000 pagine di calcoli e soluzioni intermedie per arrivare a dire che Greg aveva ragione.
Mi piace che esista qualcuno che lavora fuori dagli schemi, non cerca onori e si nutre dei risultati del suo lavoro. Non succede quasi mai nei meandri accademici, nelle nostre università sedute sulla loro opulenza sociale e sul loro potere culturale che, sebbene non conti quasi nulla, è pur sempre potere.
Leggere queste news rincuora, è come fare una gita in montagna in giornata e per un po' respirare aria fresca.
31 marzo 2010
25 marzo 2010
LA NONNA FRANCESE

Mio padre ha comunque profonde radici toscane. Non sto qui a dettagliare. Sarebbe noioso. E nessuno in famiglia è blasonato tanto da meritare una genealogia particolareggiata.
22 marzo 2010
PERIFERIE
Spesso scuole come questa sono poste nelle periferie delle aree metropolitane. Napoli, Roma, Milano, Torino, Bologna, Genova, Palermo...in fondo non è importante dove siano costruite. La fauna che si trova è più o meno quella, con qualche sfumatura per i dialetti o i gerghi utilizzati. Anche i docenti, anzi i formatori, hanno più o meno la stessa storia ovunque. Storie di miserie professionali, frustrazioni esistenziali, consuetudine agli psicofarmaci o ad annose psicoterapie. Volti grigi, vagamente depressi, età indecifrabili dentro abiti fuorimoda e stipendi ridicoli anche solo per pensare di poter sognare. I relitti dell'insegnamento incontrano i relitti di una società che non sa dove mettere il disagio delle periferie e l'abbandono precoce dell'obbligo scolastico. Anzi no. Questa è la soluzione. La scuola professionale. Mettiamo a posto la coscienza di tutti, politici buonisti e comunità europea che soffia sul collo dell'establishment politico per l'innalzamento dell'istruzione nella vecchia Europa. Avviamo al lavoro i fancazzisti, i border line, i ggiovani che la scuola sanno loro dove mettertela. Quelli che il sogno americano non l'hanno mai avuto, ma sanno benissimo che se ottengono una comparsata in tv è fatta. Ciao a tutti e divento famoso. La scuola non fa parte del progetto. E' la società dell'immagine bellezza. L'immagine è tutto. Ma anche i soldi non guastano.
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INIZIO
Sostituisco una collega uscita di testa alle soglie della pensione. Pare che abbia avuto uno scazzo definitivo con la collega di diritto, sono volate parole grosse, qualcuno ha sentito rumori di pugni agli armadietti metallici. Insultava gli allievi. Poi è scomparsa. E' arrivato un certificato medico che la copre fino alla fine dell'anno, poi aspettativa. Per me è la pacchia. Lavoro assicurato, almeno fino alla pensione della poveretta. Mors tua vita mea.
Incontro la terza. Mi guardano, squadrano le mie scarpe, i miei occhiali e la mia cravatta. Ho la percezione che mi stiano anche annusando. Mi dicono che la supplente dell'anno scorso con loro ha pianto. L'hanno fatta scappare. Misurano l'effetto che fa l'ammissione. Non faccio una piega. Incomincio a parlare di comunicazione e media, gli argomenti che preferisco. Ma non riesco a dire nulla. La lezione mi rendo conto resta un'utopia sullo sfondo di un brusio continuo e di risate sguaiate. Finisce l'ora.
Incontro la terza. Mi guardano, squadrano le mie scarpe, i miei occhiali e la mia cravatta. Ho la percezione che mi stiano anche annusando. Mi dicono che la supplente dell'anno scorso con loro ha pianto. L'hanno fatta scappare. Misurano l'effetto che fa l'ammissione. Non faccio una piega. Incomincio a parlare di comunicazione e media, gli argomenti che preferisco. Ma non riesco a dire nulla. La lezione mi rendo conto resta un'utopia sullo sfondo di un brusio continuo e di risate sguaiate. Finisce l'ora.
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20 marzo 2010
LO SBARCO
Ci siamo. Primo giorno di cattedra in una scuola professionale. La Gelmini non sa nemmeno che esistono queste scuole. Praticamente il gradino prima degli istituti di correzione o di pena. In pratica, prima della galera arriviamo noi. Tre anni dopo le medie per imparare una specie di mestiere e poi via al lavoro per i più fortunati. Gli altri non si sa. La scuola sembra bella, linda, pulita, quasi nuova. Dentro l'inferno. Pressochè tutte femmine, dai 14 ai 20 anni, pluribocciate dalle scuole ministeriali e approdate qui. Un inferno senza ritorno nella periferia di una qualunque metropoli. Per loro e per chi ci insegna.
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