Intervallo. Sorveglio i corridoi per un mandato che farei volentieri a meno di mettere in pratica. Sguardi inquieti di chi vorrebbe fumare, ma è costretto al chiuso. Nello spazio antistante le aule, comode poltrone invitano a un impossibile riposo. Alcuni ragazzi si svaccano in quel luogo e passano lì il loro piccolo tempo di libertà che li separa dalla prossima ora. Nel gruppo vedo T. con il volto visibilmente gonfio. Gli chiedo che c'è. Dice che ha avuto uno scontro. Gli chiedo se era più di uno. Mi dice che le ha prese da due che lo hanno attaccato insieme. Mi sfugge un "bastardi". Gli chiedo quando è successo, lui mi dice ieri sera. I compagni stupiscono alla mia esclamazione detta tra i denti. Vado via, ma prima dico a T. di non muoversi di lì. Prelevo del ghiaccio dal frigo della sala professori. Avvolgo un sacchetto di plastica pieno di cubi di ghiaccio in una quantità eccessiva di scottex. Creo una rudimentale borsa per il ghiaccio. Torno da T. e gli spiego come metterla sull'occhio e lo zigomo che ancora pulsano. Stranamente docile, obbedisce. A bassa voce, su richiesta dei compagni racconta. Era in giro con la tipa e due giovani stranieri li hanno avvicinati. Hanno allungato le mani sul culo della ragazza e lui è partito alla difesa della sua donna. Le ha prese. Lo rifarebbe. I compagni lo sostengono, dicono che ha fatto bene. Io non dico nulla. Gli aggiusto la borsa sull'occhio. Gli dico di tenerla lì il più possibile. Parlo a lui e a quelli che sono lì. Dico che quando capitano contatti di questo genere, è bene usare subito il ghiaccio che aiuta a far riassorbire prima la botta. L'importante è che non ci siano abrasioni.
L'intervallo è esaurito. Tutti in aula.
Dico a T. di tenere il ghiaccio finchè riesce a sopportarlo. Non mi ringrazia e va via con il ghiaccio premuto troppo forte sulla faccia.
27 maggio 2010
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